ELOGIO DELLA LENTEZZA

Il territorio di Artena, è sempre stato luogo di attraversamenti, che vanta la rappresentazione delle sue aree sulla Tavola Peutingeriana, cioè sull’antica carta viaria al tempo dei romani, è intersecato da almeno due di questi cammini.

Per comprendere cosa si intende per “lentezza” possiamo avvalerci di due forti riferimenti letterari contemporanei. Luis Sepùlveda, nella fiaba “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza”, racconta del tentativo di una lumaca di evadere dalla sua comunità. Rompendo gli schemi di una vita rassegnata, sente il bisogno di dare risposte alle sue curiosità e di rompere il confine di quella incomprensibile indeterminatezza. Seppur nella modalità che la natura le aveva riservato, quella appunto di procedere piano, l’intraprendente lumaca inizia a viaggiare e a conoscere i prati circostanti, gli abitanti di quei luoghi, e con questi interagisce nella comprensione del mondo, cercando la sua interpretazione della vita. E’ indossando il nome di “Ribelle” che afferma la sua identità distinguendosi da tutte le sue compagne senza nome. L’altro grande suggerimento è dato da Milan Kundera che ne “La Lentezza” romanza sostenendo che “c’è un legame stretto tra lentezza e memoria, velocità ed oblio” come se il ricordo possa essere meglio inciso nell’adagio mentre, il furore della corsa sia d’aiuto per dimenticare.

Generalmente, la nostra è una società che fa fatica ad accettare l’incedere lento, che guarda con sospetto chi, possedendo l’arte di dilatare il tempo, cerca nuove modalità di espressione. Eppure se sul territorio Italiano, così come già in Spagna, negli ultimi anni sono stati delineati decine di “Cammini”, cioè percorsi da effettuare prevalentemente a piedi, vuol dire che ci sono molti Ribelle che vogliono partire per realizzare un viaggio che, attraverso le sfumature esteriori, ci permette di indagare il nostro mondo interiore. Il tracciato di ogni Cammino ha di base una trama narrativa che ricongiunge luoghi emblematici nella vita di santi; unisce territori che si danno la mano nell’esperienza eno-gastronomica; cuce percorsi che cantano epiche gesta di leggendari eroi. Il territorio di Artena, che è stato sempre luogo di attraversamenti e che vanta la rappresentazione delle sue aree sulla Tavola Peutingeriana, cioè sulla più antica carta viaria al tempo dei romani, è intersecato da almeno due di questi cammini. La via Francigena del Sud (in variante al percorso dell’Appia) che conduce prima a Monte Sant’Angelo e poi in terra Santa, ed il Cammino di San Tommaso che congiunge Roma ad Ortona, città sull’Adriatico in cui sono conservate le spoglie del santo. Sono itinerari silenziosi sconosciuti ai più. Non c’è la stella che indica la direttrice verso Santiago. Nessuna conchiglia. Non c’è l’icona del pellegrino che s’incontra in Val d’Orcia. Non ci sono frecce gialle indicanti il percorso. Non ci sono indicazioni per gli alloggi. Non ci sono marciapiedi in ingresso ed uscita sempre ben manutenuti. Il pellegrino da noi è un “forestiero” e suscita poche, pochissime curiosità.

Mi è capitato spesso di arrivare in un borgo sconosciuto, magari d’estate nelle prime ore del pomeriggio. Sentire le sole cicale cantare. Non trovare indicazioni da seguire. Qualche rumore di piatti scappare dalle fresche cucine seminterrate. Odore di basilico provenire dai davanzali. Entrando in queste quinte, come varcando una porta d’ingresso rimasta per sbaglio aperta, mi sono sentita un po’ ladra. Come chi si intrufola in una scena non sua, in una rappresentazione in cui il tuo ruolo non è stato contemplato. Un’usurpatrice che, anche solo con la sua presenza, rischia di infrangere un equilibrio concordato nei secoli. Sarà forse per questo che alla fine, posti così, li ho attraversati tagliandoli velocemente. Perchè quegli odori, quei suoni, scorci di vicoli, di pietre, di gatti annoiati, sono troppo poco per strappare l’anima di un paese. Il rimpianto di non averlo nell’eternità dei ricordi, resta.

Esistono limiti invisibili da cui dipende l’accoglienza, il benvenuto. L’ospite deve sempre portare con sé una dote di discreta curiosità che faccia predisporre all’incontro e che arricchisca nel confronto. La città deve vestire di considerazione chi arriva. Deve dimostrare disponibilità. Porgere il sorriso, l’incitazione al coraggio del viaggio. Solo l’accoglienza e la messa a disposizione della propria autenticità permette di creare un dialogo reciproco che è crescita sia per chi passa che per chi resta. La città è tale, diventa cioè luogo, quando il suo suolo sa ospitare l’incontro e quando ogni intervento che su di essa si realizza è finalizzato a questo.

Barbara Fontecchia