GIORGIO COLANGELI, L’ATTORE CHE SCRIVE PER NOI

VIRUS? HO CHIESTO AIUTO ALLA LETTERATURA E ALLA POESIA

Mi riempivano il vuoto di questi giorni, ma allo stesso tempo mi causavano un altro vuoto: l’impossibilità di comunicare le  emozioni del verso e della parola a un  pubblico reale

Un saluto a tutti i lettori di questo nuovo giornale e un augurio a questo nuovo giornale, che nasce in un momento difficile. E magari fosse un momento! In realtà non sappiamo neanche quanto durerà, questo momento! 

In Artena e altrove sono conosciuto come attore di teatro, cinema e televisione.

Quasi solo in Artena, invece, sono conosciuto, indegnamente, anche come scrittore. In realtà non sono un professionista della penna, anzi, la scrittura mi mette un po’ a disagio. Parlare mi riesce sicuramente meglio. D’altronde, anche l’unico libro che ho scritto, “Il Folle Volo”, è in realtà la trascrizione di una serie di chiacchierate su Dante e la Divina Commedia, fatte con l’amico, e curatore del libro, Lucilio Santoni.

Tutto questo per dire che solo l’amicizia e la simpatia di Vittorio Aimati mi hanno indotto a scrivere e, scusate se è poco, sulla Pandemia. Capite? Non solo non so scrivere, ma devo scrivere di un evento planetario, rispetto al quale siamo tutti più o meno spettatori impotenti. Drammaticamente coinvolti, certo, ma anche e solo spettatori, sbigottiti e ancora increduli. 

Parlare oggi di questo significa o fare cronaca, cioè raccontare cosa sta succedendo, ed è inutile, perché lo sappiamo già tutti; oppure presumere di poter fare qualche commento, qualche approfondimento, come si direbbe in TV, addirittura trarre qualche conclusione, e questo mi sembra francamente impossibile, almeno per me. Allora scelgo il basso profilo, il tema delle elementari: come avete passato la quarantena? Farò una sintesi, per carità, non un diario.

Sono stato a casa, a Roma. Sono uscito solo per fare la spesa, nei negozi piccoli, dove c’era meno fila. Ogni volta che trovavo quello che mi serviva, ringraziavo in cuor mio tutti quelli che avevano continuato a lavorare: chi aveva coltivato, chi aveva raccolto, chi aveva trasportato. Perché una paura che ho avuto all’inizio era che veramente si potesse fermare tutto. E se così fosse stato, in città non si sarebbe potuto sopravvivere, forse. Ho riflettuto quindi sul fatto che potesse già questo considerarsi un successo: un risultato positivo e non casuale, ma voluto e ottenuto dal lavoro e dall’impegno di molti. Ho pensato a questo, ma non ho pensato di organizzare flash mob o esternazioni particolari sui balconi. Un po’ perché ho una certa abitudine alla solitudine autarchica e poi perché sono un ottimista. Penso che se un buon pensiero è venuto spontaneamente a me, può venire altrettanto spontaneamente agli altri, senza cori e aggregazioni.

Ho cucinato per me, con una certa attenzione e una certa cura e mangiato e gustato con soddisfazione. E questo mi ha fatto bene, perché è come se mi fossi sdoppiato: uno che accudisce e l’altro che è accudito, eravamo in due e mi sentivo meno solo. Ma il pensiero andava anche a quelli che di solito cucinano per me: i miei baretti, di Artena e di Roma, Chiocchio’ e altri di Artena e di Roma. E mi sono preoccupato per loro, che hanno dovuto chiudere. E ho pensato che mi mancavano. Mi mancava quel particolare sentimento di “famiglia diffusa” che provi solo quando mangi fuori di casa, ma in un posto che conosci, in mezzo a tanta gente che non conosci e che, per il tempo di un pranzo o di una cena e senza palarci, diventano quasi tuoi parenti.

Ho chiesto aiuto alla letteratura e alla poesia. Ho letto molto. Ho letto “Viaggio al termine della notte” di Celine. Bellissimo. “Auto da fe'” di Elias Canetti. Sconcertante. “M. Il figlio del secolo” di Antonio Scurati. Un’accurata e suggestiva cronologia dell’ascesa di Mussolini dal 1919 al 1924. Gli anni, oltretutto, della spagnola e dei suoi strascichi. Ho letto più volte l’ultimo libro, che ancora deve uscire, del mio amico Lucilio Santoni “Legato con amore in un volume”. Bellissimo. Ho ripassato più volte la memoria della Divina Commedia, onorandomi della compagnia quotidiana del sommo poeta.

Queste attività da una parte mi riempivano il vuoto di questi giorni, dall’altra mi facevano sentire ancora più acutamente un altro vuoto: l’impossibilità di comunicare le emozioni della poesia e della parola ad un pubblico reale, presente e partecipe. Mi mancava il teatro. E mi manca. Né ho mai pensato di sostituirlo con il suo fantasma, cioè con le registrazioni in video. C’è più teatro superstite nella lettura, credo, che nelle registrazioni video di spettacoli teatrali, non importa quanto belli.

Ogni giorno ho sentito la mia compagna, mio figlio, che è psicologo e quindi è di quelli che hanno continuato a lavorare. Ogni giorno ho fatto video conferenza con i miei 4 fratelli. Da loro, dai miei fratelli, da mio figlio, dalla mia compagna mi sono fatto aggiornare sugli sviluppi della Pandemia. Le notizie, allarmanti o rassicuranti, mi arrivavano così già vestite di umanità, condivise con chi ti ama e che tu ami.

Il resto, di fronte alla morte, che in questo periodo è forse un poco più presente del solito nei nostri pensieri, è ben poca cosa. Per resto intendo quel brulicare di interessi, di polemiche, di contestazioni, di speculazioni, che pure ci sono state e che sono inscindibilmente legate all’impegno, al sacrificio, alle competenze, alla lealtà, alla generosità, all’amore, che pure ci sono stati. Questo è stato anche ai tempi della spagnola, cento anni fa. Ma anche prima. Questo è l’uomo.

GIORGIO COLANGELI. Laureato in fisica nucleare. Attore, scrittore. Ha al suo attivo oltre 150 film e molteplici opere teatrali. È considerato uno dei più bravi attori italiani. Ha vinto il premio David di Donatello, l’oscar del cinema italiano, con il film ‘L’aria salata”. Ha vinto numerosi altri premi. Ha scritto, in collaborazione con Lucilio Santoni, uno dei libri più belli su Dante Alighieri e la Divina Commedia:“Il folle volo”. Conosce a memoria la Divina Commedia che spesso recita nei suoi spettacoli dal vivo. È cittadino onorario di Artena.