LUCIANO LANNA, IL GIORNALISTA CHE SCRIVE PER NOI

PAESE MIO CHE STAI SULLA COLLINA

Avviando una collaborazione con questo giornale ho pensato di occuparmi dei miei temi consueti, ma sempre partendo da un episodio o un collegamento con Artena.

Quando si prova a ricostruire la propria educazione sentimentale (e quindi l’identità del proprio immaginario profondo) è forse inutile tentare di farlo solo attraverso le letture o i versi, la musica e le immagini. In prima battuta tutti noi siamo soprattutto figli del nostro luogo di formazione, non necessariamente la terra dei padri o il nome indicato all’anagrafe come sede della nostra nascita. E, da questo punto di vista, è davvero privilegiato chiunque ha la possibilità di indicarlo in un paese, come la nostra Artena.

Lo annotò nel migliore dei modi, in un passo efficacissimo del suo romanzo La luna e i falò, Cesare Pavese: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire – aggiungeva – non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti…”. Sì, anche quando non ci sei e magari ci vai poche volte l’anno e magari di fretta… Il rapporto con il proprio paese –quello dove si è cresciuti e ci si è formati – ha costituito per molti scrittori la chiave d’accesso privilegiata per l’ispirazione e la vocazione. Si pensi a Racalmuto per Leonardo Sciascia o Casarsa per Pasolini. Oppure a Luino per Piero Chiara e per Ignazio Silone Pescina nella Marsica, che restò sempre a suo dire il suo “paese dell’anima”. E si può anche pensare a Giuseppe Berto e ai suoi due paesi: Mogliano Veneto dove nacque e trascorse infanzia e adolescenza, e Capo Vaticano, il paese della maturità. Per non dire di Lariano per Achille Campanile, dove lo scrittore trascorse l’ultima fase della sua biografia.

Ancora ai giorni nostri, un narratore siciliano come Pietrangelo Buttafuoco, da trent’anni a Roma, non esita a spiegare di non aver mai voluto cancellare la sua residenza sicula e ad ammettere pacificamente che, un giorno, la sua tomba “sarà a Leonforte”.

È una connessione, questa, che vale anche per i cantautori. Che dire, infatti, del rapporto che collega Guccini alla sua Pàvana e Vasco Rossi a Zocca? E che legava il compianto Lucio Battisti alla sua Poggio Bustone. E come non accennare al fatto che Franco Battiato abbia scelto di rintanarsi nella sua Milo alle pendici dell’Etna.

C’è infatti differenza tra la persona – donna o uomo – cresciuta e formatasi in una metropoli o in una città, sia pure di provincia, e chi ha invece un punto di vista, una prospettiva, un orientamento in un paese. Qui ci si conosce tutti o quasi, i volti che incontri anche per strada di danno subito la sensazione di familiarità. Non devi programmare il tuo tempo libero, basta andare in piazza o entrare in un bar e poter chiacchierare con persone che conosci, con cui sei stato a scuola, con cui sei stato all’oratorio, con cui hai un immaginario e una sensibilità comuni. E ci sono i punti di vista ben visibili: la piazza, la chiesa, la caserma dei carabinieri, il Municipio, il bar…

Non c’è bisogno di scomodare Giovannino Guareschi e il suo “mondo piccolo”, ma la chiave del successo di quei romanzi sta proprio nella descrizione naturale della vita di un paese della Bassa Padana, un paese come tutti gli altri, in cui anche le contrapposizioni ideologiche e politiche tendono a stemperarsi nella sensazione fondamentale di una realtà comune.

Alla fine lì il prete Don Camillo e il sindaco comunista Peppone si conoscono da sempre, condividono le stesse ansie e le stesse passioni, sono amici e anche la politica passa in secondo piano… Una sensazione che fece in modo che i libri di Guareschi furono per anni in testa a tutte le classifiche di vendita… Scattava l’identificazione immediata da parte della stragrande maggioranza delle persone, anche di quelle che erano andate a vivere in città ma con un paese nel cuore. “La sua colpa – scrisse Luciano Secchi alla morte dell’autore di Mondo piccolo – agli occhi degli intellettuali di elezione, e questa è una colpa ancora maggiore e imperdonabile agli occhi dell’élite della letteratura, è stata infatti quella di aver venduto migliaia e migliaia di copie dei suoi Don Camillo tradotti praticamente in tutte le lingue occidentali e non…”. Aveva fatto identificare lettori in tutto il mondo proprio perché il cantore di un piccolo paesino aveva toccato le corde profonde di quello che stiamo cercando di evocare. Ed ecco perché, chi scrive, avviando una collaborazione con questa testata ha pensato di occuparsi dei suoi temi consueti – l’immaginario, la letteratura, il cinema, la musica – ma sempre partendo da un episodio, un collegamento, un’evocazione legati al… “paese mio che stai sulla collina”. 

Luciano Lanna

LUCIANO LANNA Laureato in filosofia. Scrittore e Giornalista.  Vincitore del Premio Lucini, assegnatogli per aver conseguito il miglior risultato della sua sessione all’esame per entrare nell’albo dei giornalisti professionisti. È redattore capo de L’Italia Settimanale, diretto da Pierangelo Buttafuoco. Successivamente è responsabile delle pagine culturali del quotidiano Roma. Diviene caporedattore della rivista Ideazione. Vicedirettore del quotidiano L’Indipendente. Poi è caporedattore del Secolo d’Italia, e nel 2006 ne diviene il Direttore responsabile. Ha collaborato con il giornale il Dubbio. Ha scritto con Filippo Rossi il libro “Fascisti Immaginari” e, da solo, il libro “Il fascista libertario”. È stato, ed è, autore di moltissime trasmissioni della RAI.