UNA SOLIDARIETÀ EUROPEA DI FATTO

Lo scorso 9 maggio abbiamo celebrato il 70°anniversario della Dichiarazione Schuman. Ogni anno, a partire dal 1985, il 9 maggio festeggiamo il giorno dell’Europa. L’integrazione europea iniziò il giorno in cui Schuman chiese agli Stati che si erano combattuti fino a pochi anni prima, di unirsi, mettendo in comune le risorse economiche e le materie prime strategiche per quel tempo. La crisi perdurante dovuta al coronavirus ha messo in evidenza tutti i limiti di un’Europa che resta, però, l’unica via per affrontare la sfida.

“La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano.” Iniziava così la sua dichiarazione l’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman, il 9 maggio del 1950, dando così inizio al processo di integrazione europea.
Questa dichiarazione rappresenterà una svolta nella storia politica degli Stati europei e di tutti i suoi cittadini: “La fusione della produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime”.


Questa era la rivoluzionaria idea alla base: quegli Stati che si erano combattuti fino a pochi anni prima, sceglievano di unirsi, mettendo in comune le risorse economiche e le materie prime strategiche per quel tempo, non costretti con la forza ma consapevoli che quella sarebbe stata l’unica via per la pace, la prosperità economica e il miglioramento della qualità della vita di tutto il popolo europeo, che si lasciava così alle spalle gli orrori della Prima e Seconda Guerra Mondiale.


“L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.” Continuava così Schuman, cogliendo pienamente la realtà storica che sarebbe seguita a quella dichiarazione.


In più di Settanta anni di pace, il periodo più lungo nella nostra storia, attraverso diverse tappe, fatte di accordi e trattati tra Stati, l’Europa in questi anni ha consegnato ai suoi cittadini molte opportunità: dal 1985, la libera circolazione di merci e persone, abolendo di fatto i dazi e altri ostacoli per le imprese che esportano i propri prodotti e permettendo ai cittadini di viaggiare liberamente; la cittadinanza europea, che garantisce pari diritti e protezione; la moneta unica, che ha sostituito le deboli monete nazionali, facilmente soggette a inflazione e svalutazione; fino ad arrivare al progetto Erasmus e all’abolizione dei costi di roaming nei paesi dell’Unione Europea. Eppure, questa rimane per la maggior parte una realtà fredda e distante.


Oggi però, tutta l’Europa è minacciata da un pericolo diverso, che non conosce confini. La crisi causata dalla diffusione del COVID – 19 sta stravolgendo le vite di tutti e certamente cambierà completamente il nostro modo di vivere. Da poco siamo entrati nella cosiddetta “Fase 2” e ciò che preoccupa principalmente sono le politiche necessarie a far ripartire l’economia del nostro Paese. Qui rientra in gioco l’Europa, l’unica oggi che può mettere in campo risorse imprescindibili per salvare le economie degli Stati membri.


L’Unione Europea, pur con tutti i suoi limiti, dovuti principalmente al sistema intergovernativo che impedisce una reale unione politica – limitando di fatto le capacità e i mezzi d’intervento a disposizione -, ha già messo in campo alcune proposte. Nell’immediato, la volontà di intervenire ricorrendo a strumenti finanziari già esistenti, come il tanto dibattuto MES – Meccanismo Europeo di Stabilità – (240 miliardi), detto anche “Fondo salva-stati”, le cui condizioni, normalmente piuttosto rigide, sarebbero riviste per far fronte alla crisi sanitaria: l’unico vincolo sarà quello di spendere i soldi del prestito solo per coprire i costi sanitari diretti e indiretti causati dalla pandemia, a un tasso prossimo allo zero. A questo strumento già esistente, vanno aggiunti: il nuovo SURE (100 miliardi), una sorta di “Cassa integrazione europea” per difendere il lavoro e tutelare l’occupazione; gli interventi della Banca Europea per gli Investimenti – BEI – (200 miliardi) per il sostegno alle aziende; infine l’istituzione del Recovery Fund, un fondo ad hoc con lo scopo di emettere titoli di debito europeo, i cosiddetti recovery bond. Insomma, un insieme di interventi da miliardi di euro, da sommare ai vari interventi della Banca Centrale Europea, da circa 1100 miliardi di euro, e agli aiuti alla ricerca per trovare un vaccino.


Questa crisi ha sicuramente messo in evidenza tutti i limiti di un’Europa con un bilancio che rappresenta circa l’1% dei PIL combinati dei vari stati membri dell’UE e di un’Europa ancora del diritto di veto e delle decisioni all’unanimità!


Appare però altrettanto evidente che l’unica via per superare la crisi sia quella di affrontare insieme questa sfida, creando, come disse Schuman, “una solidarietà di fatto”.

Sofia Fiorellini