UNA CASA DELLA CULTURA CHE ANCORA NON C’È!

Artena è piena di artisti meravigliosi e in tanti condividiamo la stessa passione: dovremmo avere anche un luogo permanente per incontrarci e condividere!

Sono cresciuta nella musica. Quando ero piccola, in casa mia, c’era sempre un disco che andava o qualcuno che cantava. C’erano dei luoghi della musica, degli spazi deputati. Davanti al camino, i miei nonni mi cantavano le filastrocche della loro infanzia, oppure quelli che poi ho scoperto essere i grandi classici della canzone italiana: Azzurro, i successi di Carosone, Mina, Renzo Arbore. Mi commuovo se alla radio, di sfuggita, riconosco La prima cosa bella di Nicola Di Bari, direttamente dal 1970 a ricordarmi mia nonna Emilia, che mi manca sempre, e che me la cantava col sorriso aperto, questa canzone che sa di fiori e che l’interprete, insieme a Mogol, aveva scritto per la nascita della prima figlia. Mi stupisco quando penso che arrivò al secondo posto al XX Festival di Sanremo, subito dietro a Chi non lavora non fa l’amore di Celentano. La sua dolcezza avrebbe meritato il primo posto, nel mio capriccio di bambina.

Poi c’erano i canti alpini, le canzoni delle guerre, Bella Ciao, ma anche Faccetta Nera, Giovinezza ¬– per conoscere il nemico – e poi Mamma, di Beniamino Gigli, che invece commuove mio nonno che ha 104 anni, e ancora oggi, quando la intona pensa alla madre che non ha potuto riabbracciare, perché mentre lui imbracciava un fucile a piedi scalzi per una causa lontana dagli uomini comuni, lei combatteva contro una malattia che l’ha portata via.

Un altro posto della musica era la macchina. Nella Mondeo di mio padre c’era uno stereo a cassetta. Durante i viaggi più lunghi gli chiedevo di togliere il suo jazz, che mi annoiava perché non lo capivo, quasi mai c’erano le parole poi.

Preferivo il cantautorato italiano, perché potevamo cantarlo tutti insieme.

Nel mio immaginario c’è un pesciolino cieco, una gatta che parlava con una stellina, un uomo che camminava sui pezzi di vetro e la donna cannone, una locomotiva, eroi giovani e belli e bionde trecce, c’è Sally che non è Francesca, Nino che doveva tirare un calcio a un pallone, Andrea che s’è perso e non sa tornare, forse era alla stazione a salutare Bocca di rosa, in fondo c’erano tutti, anche le segretarie con gli occhiali che si sposano con gli avvocati. Un piccolo grande amore, una piccola mela, un piccolo uomo e un ragazzo fortunato, c’era anche Giulia (come me!) con gli occhiali sul naso (come me!) sotto una luna che bussa in un posto dove tira sempre il vento. C’erano pure Capitan Uncino, il Gatto e la Volpe. Nella mia testa i personaggi si mescolavano dando vita a favole nuove.

La macchina è da sempre uno dei miei luoghi preferiti per la musica. Oggi lo stereo a cassette è stato sostituito da un dispositivo luminoso pieno di cavi che assomiglia a un’astronave a cui è possibile collegare qualsiasi tipo di supporto. Nelle mie traversate Artena-Milano mi traghetta in lunghi viaggi paralleli.

Il salotto del vecchio appartamento, a nove anni è diventato il mio piccolo tempio della musica: lì suonavo il mio primo pianoforte e poi il basso – avevo scoperto che la musica potevo anche farla, ma ahimè, presto ho dovuto fare i conti con la mia mancanza di creatività nella composizione e a 16 anni avevo già rinunciato all’idea di una vita da rockstar.

Soprattutto, c’erano i concerti: il live era il momento che preferivo, perché l’esperienza d’ascolto cambiava completamente. Potevo vedere con i miei occhi da dove uscivano i suoni, e da chi, e intanto immergermi nel suono fisico che mi faceva vibrare il corpo e l’anima. Improvvisamente ero connessa con tutte le persone presenti, perché con loro condividevo la scelta di quella avventura sonora che ci avvicinava tutti: e stavamo bene. Purtroppo, non avendo la patente, andare nei luoghi di quella comunione era sempre complicato. Dovevo chiedere di essere accompagnata in locali irraggiungibili altrimenti, auditorium, palazzetti, teatri o festival che si trovavano sempre in una città che non era la mia. I miei, per nutrire la mia passione, mi portavano.

Mi faceva arrabbiare moltissimo che non ci fosse un luogo della musica nella mia città. Mi sembra pazzesco se ci ragiono, ma dopo dieci anni ancora non c’è.

Con i miei amici, ascoltavamo musica da un lettore cd seduti sui gradoni dei Pesci, il parcheggio che ci ospitava come una piazza. Era la nostra esperienza collettiva della musica. Non tutti avevano modo di andare ai concerti.

Quando avevo diciotto anni, attraverso l’associazionismo, abbiamo creato un Festival delle Arti, per sopperire alla mancanza di offerta culturale e per dotare di una piccola proposta di live, anche musicali, la nostra comunità. Ma non è abbastanza.

Artena è piena di musicisti meravigliosi e in tanti condividiamo la stessa passione: dovremmo avere anche una casa permanente per incontrarci e condividere!

Una comunità sana si esprime anche attraverso la cultura che offre e che produce.

La musica è portatrice di valori, affina la sensibilità e può far scoprire un ritmo nuovo e collettivo.

E soprattutto, come scriveva Cervantes nel Don Chisciotte: “Señor, donde hay musica no puede haber cosa mala.”

Giulia De Castris