ECONOMIA CIRCOLARE

LA QUESTIONE AMBIENTE DEVE TORNARE A PREOCCUPARCI E AD OCCUPARCI. LA SPINTA PIÙ FORTE ARRIVA DAI GIOVANI E GIOVANISSIMI, I “FRIDAY FOR FUTURE” CHE HANNO COINVOLTO CENTINAIA DI NAZIONI NEL MONDO COMPRESA L’ITALIA

La strada da seguire è stata già individuata e segnata, si chiama “economia circolare”: è un modello di produzione e consumo che implica il riuso, il riciclo, il reimpiego dei materiali che di consueto vengono scartati e inviati in discarica

Mi è stato chiesto come vedo la questione ambiente, perché lo è, una questione. Prima che tutti noi diventassimo esperti virologi, esperti di FASE 1 e FASE 2, esperti economisti della ripartenza, prima di tutto ciò, buona parte dell’opinione pubblica nel mondo stava affrontando un altro argomento: il futuro del clima del nostro pianeta. Abbiamo già dimenticato il disastro degli incendi australiani? La piaga delle cavallette in Asia, Africa e ora anche in Sardegna? No, non sto citando la Bibbia con le piaghe d’Egitto, ma solo alcune delle continue sorprese che ci sta rivelando pian piano questo 2020, seguito di quel meraviglioso 2019 che ci era stato promesso. Ma lasciando da parte il sarcasmo, mio fedele amico fin dalle elementari, la questione ambiente deve tornare a preoccuparci e ad occuparci.
La spinta più forte è arrivata dai giovani e giovanissimi, i “Friday for future” hanno travolto e coinvolto molte nazioni al mondo, tra cui anche l’Italia che ha visto grande partecipazione. Ci sono stati mesi in cui non si parlava di altro: dei consumi eccessivi, del clima, della responsabilità delle generazioni del passato e del presente, richieste di cambiamenti su tutti i fronti. Adesso, travolti da una pandemia, la preoccupazione imminente per la propria sicurezza ha scacciato via i pensieri per pericoli “meno pericolosi”. Questo momento in cui si vuole spingere sui consumi per far ripartire la produzione e l’economia è un’opportunità. Ormai lo sappiamo: ambiente, uomo ed economia sono legati, nessuno può prescindere dall’altro, anzi solo l’ambiente se la può cavare meglio senza gli altri (in questi mesi lo ha dimostrato benissimo), quindi c’è solo una soluzione: tenercelo buono e rispettarlo se non vogliamo finire in fiamme o divorati dalle cavallette.
La strada da seguire è stata già individuata e segnata, si chiama “economia circolare”: è un modello di produzione e consumo che implica il riuso, il riciclo, il reimpiego dei materiali che di consueto vengono scartati e inviati in discarica. Non è certo la scoperta del secolo, ma estendere il ciclo di vita dei prodotti il più al lungo possibile è l’unico modo per ridurre al minimo i veri rifiuti. Questo principio può essere applicato sia in scala microscopica (nel nostro stile di vita quotidiano) che in scala macroscopica (organizzazione della produzione industriale). Significa rompere il modello in uso, ancora duro a morire, dell’economia lineare: estrai, produci, acquista, usa, getta.
Dobbiamo credere in questo modello, senza cercare più scorciatoie facili per nascondere il problema sotto il tappeto; negli anni questo sistema ha portato solo morte e distruzione, purtroppo letteralmente (vedi le varie terre dei fuochi e la nostra vicinissima Valle del Sacco). La responsabilità è forte e comune, richiamando i giovanissimi di prima, volendo credere che non sia stata solo una moda passeggera, la consapevolezza è cresciuta: vogliamo sapere da dove proviene l’energia che usiamo, come vengono fatti i prodotti che acquistiamo, che fine faranno dopo.
Fortunatamente il movimento green ha fatto presa su diverse generazioni, la mia ad esempio, la generazione cosiddetta dei “millennial”. Molti miei coetanei hanno aderito a questo nuovo modo di vedere le cose e di vivere. Confortante è vedere la crescita dell’interesse e dell’impegno, sconfortante è allo stesso momento vedere ancora tanto menefreghismo e tanta miopia, come se si parlasse di problemi che riguardano pianeti lontani. Importantissimo è il cambiamento della coscienza collettiva, la produzione dell’offerta si adegua alla domanda che riceve. Siamo nell’epoca dei consumi, non si torna indietro, non è possibile, nessuno vuole rinunciare alla tecnologia e agli agi. Non possiamo tornare a vivere nelle caverne per salvare il pianeta, quindi bisogna adattare l’economia all’ambiente e non più viceversa.
Conclusione: personalmente cosa mi aiuta e mi “guida” nelle scelte? Semplice: ansia e senso di colpa, come per ogni cosa nella mia vita; senso di colpa per ogni rifiuto non riciclabile che getto e ansia per il futuro.

Elisa CIAFREI