INTEGRAZIONE: CONSEGUENZA DIRETTA DI CONOSCENZA E RISPETTO

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Una riflessione sulla diversità, un argomento che ci sta particolarmente a cuore e che vede protagonista la nostra comunità da oltre trenta anni

Differente: che ha natura o qualità dissimili da quelle di un altro oggetto o persona con cui è confrontato. È in genere sinonimo di diverso, che è anche più comune nell’uso. Questa la definizione che il vocabolario Treccani fornisce per uno dei termini più discussi degli ultimi due decenni, da quando il nostro Paese è interessato da flussi migratori da parte di persone provenienti da luoghi inospitali del mondo in cui il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità sono pure chimere. Questo fenomeno e più ancora la sua portata, ha determinato l’incremento della necessità, per persone di etnie e culture diverse, di integrarsi in una società estranea. Ricorriamo ancora un volta al vocabolario Treccani, che definisce – nell’accezione sociologica – l’integrazione come il processo attraverso il quale gli individui diventano parte integrante di un qualsiasi sistema sociale, aderendo in tutto o in parte ai valori che definiscono l’ordine normativo. Per diventare parte integrante di un sistema sociale occorre innanzitutto conoscerlo, per poi accettarne i principi fondanti al punto da renderli propri, cosa che ne implica il rispetto. Ma, come tutti i processi che riguardano la società e quindi gli individui, l’integrazione non è a senso unico: affinché qualcuno si inserisca in un tessuto sociale, bisogna che il tessuto stesso sia pronto ad accoglierlo e ad aiutarlo nel processo integrativo. E come potrebbe avvenire, questo processo, se non attraverso la conoscenza e il rispetto reciproci? La diversità, considerata come varietà e multiformità, in natura è il principio base su cui si fonda la Bellezza. Perché non dovrebbe valere lo stesso concetto per la società umana? Etnie, culture e consuetudini diverse, un diverso percorso storico e sociologico per territori morfologicamente e climaticamente eterogenei, e una diversa maturazione della coscienza civile in un processo inarrestabile di continua evoluzione, di cui il movimento degli individui sul pianeta è protagonista indiscusso. Ognuno di noi, per quanto lontano vada, porta dentro le proprie radici ed è il risultato di un percorso che ha avuto origine quando gli uomini hanno deciso di darsi delle regole, per strutturarsi in società civili e urbane. Strutturazioni per forza di cose diverse, spesso causa di conflitto l’una con un’altra. Non è questo il luogo per discutere dell’utilità dei confini, o delle regole più o meno restrittive imposte dai vari governi all’ingresso e alla residenza delle persone all’interno del territorio. Penso che, se pur suscettibili in alcuni casi di miglioramento, queste regole abbiano ragione d’essere, proprio per delimitare le libertà degli uni, affinché non si trasformino in un discapito per gli altri. Ma se assumiamo che la diversità è un valore, allora siamo contro ogni tipo di omologazione e riconosciamo a ogni persona, a meno che non le rifiuti per una scelta personale e insindacabile, il diritto a difende la propria etnia, la propria fede, il percorso storico e sociale del popolo cui sente di appartenere. Non esiste un’etnia superiore all’altra, non esiste una religione più degna dell’altra, non c’è un solo uomo che debba vergognarsi della propria pelle, della propria storia e delle proprie origini. L’istinto di supremazia, così come quello di inferiorità, sono entrambi prodotto della convinzione che esistano popoli di serie A e popoli di serie B, origini da vantare e origini da dimenticare. In entrambi i casi si è portati a identificare l’integrazione con l’omologazione, la scomparsa di una cultura fagocitata da un’altra più potente, che non è necessariamente quella della terra ospitante. Assistiamo infatti ultimamente, in alcuni casi, a un tentativo di scardinamento dei valori sociali di una nazione o di stravolgimento di millenarie culture e consuetudini, di appiattimento generale in nome della lotta contro un razzismo più scritto e parlato che non realmente attuato. La formula vincente sta in questi due termini: conoscenza e rispetto. Nell’integrarsi come nell’integrare, vale il principio di una pari dignità tra tutti gli esseri umani, e la necessità, in quel percorso accidentato che chiamiamo vita, di riconoscere a ognuno, anche a noi stessi, il diritto a esistere.