LA BASILICA ALTOMEDIEVALE DI SANT’ILARIO

AUGUSTO IANNARELLI CI RIPORTA INDIETRO NEL TEMPO CON LE SUE STORIE. OGGI PARLIAMO DELLA CHIESA E DELLE CATACOMBE DI SANT’ILARIO CHE SONO NEL COMUNE DI VALMONTONE. ALLA FINE DELL’IMPERO ROMANO, PERO’ IL VICUS DI S. ILARIO ERA ABITATO DA CITTADINI PROVENIENTI DA PIANO DELLA CIVITA

Dopo la definitiva vittoria dei Romani sui Volsci, intorno al 340 a.C., gli abitanti della “Civita di Artena”, abbandonarono la citta fortificata sulla montagna, per stabilirsi nella pianura sottostante, dove crearono piccoli “vicus”, fattorie o ville rustiche. Uno di questi vicus (villaggio) lo troviamo sul colle di Maiorana. Il villaggio abitato fin dal III sec. a.C., era attraversato dalla via Latina o una sua diramazione, ebbe un graduale sviluppo che si intensificò maggiormente tra il III e il IV sec. d.C. forse in coincidenza dell’istallazione di una” stazione di posta” nella vallata sottostante. Questo luogo è conosciuto fin dall’antichità e riportata con disegno, nelle vecchie mappe con il nome di “Sant’Ilario ad Bivium”, chiamato così perché era situato al XXX miglio della via Labicana, dove incrociava la via Latina. Qui c’era una “stazio”, che rappresento fin dalla tarda antichità, uno dei più importanti nodi stradali a sud di Roma (probabilmente anche l’impianto termale dell’età imperiale trovato ben conservato durante lo scavo della T.A.V. apparteneva alla “stazio”).
Il villaggio di colle Maiorana, intorno al VI-VII sec.d.C., come anche tutte le abitazioni costruite nelle zone pianeggianti venne abbandonato, per sfuggire ai pericoli delle sempre più frequenti invasioni di popoli “barbari”, risalendo di nuovo verso le zone d’altura più sicure. Si cominciarono così a costruire le prime abitazioni sul primo rialzo montano, più basso rispetto alla montagna retrostante, ma ben difeso dalla sua posizione naturale su uno sperone di roccia calcarea situato tra due profonde doline carsiche. Ed è cosi che è nato il “Castro Montis Fortini”. Passato il periodo delle invasioni barbariche, tra la fine del VII e gli inizi dell’VIII secolo, la popolazione lascia di nuovo l’altura dove si era rifugiata per tornare nella valle sottostante, dove cominciano a comparire piccoli nuclei abitati, e la rioccupazione agricola del territorio con casolari sparsi un po’ dovunque, spesso riutilizzando anche i vecchi fabbricati abbandonati, centri, ora dipendenti da una chiesa direttamente legata alla sede vescovile. Una di queste chiese, o “Oratoria Fundorum” costruita per adempiere alle esigenze cultuali degli abitanti del fundus di colle Maiorana e le zone limitrofe è la piccola basilica altomedievale di Sant’Ilario.
La prima menzione della chiesa è nella bolla di papa Lucio III del 1182, che la cita appartenente al Castello di Sacco. La chiesa di Sant’Ilario la troviamo poi anche in alcune mappe del 1600 e 1700 con il simbolo della chiesa o con il nome.
Ma con il tempo, anche se ricordata da studiosi antichi, della chiesa si era perduta ogni traccia. Ed è grazie alle campagne di scavo condotte dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra dirette dal prof. Fiochi Nicolai nella catacomba di Sant’Ilario e nella zona esterna alla catacomba, dove sono tornati alla luce i resti della chiesa. Si tratta di una piccola chiesa a pianta basilicale (m.9,60 X m.6,45) costruita sull’area del cimitero esterno alla catacomba tra la fine del VII e gli inizi dell’VIII sec. d.C.
Vediamo com’era la chiesa fatta dalla descrizione degli autori dello scavo e riportata in alcune pubblicazioni:
“Le fondazioni della chiesa sono poggiate direttamente sul banco di tufo sottostante, ma anche su alcune tombe a fossa più antiche scavate nell’area. Le strutture murarie della chiesa sono molto rozze, i muri sono stati costruiti con blocchetti di tufo rettangolari e grossi pezzi di tufo di diverse dimensioni, alternando a questi, numerosi materiali di recupero, inserendo in più punti dei muri inzeppi di frammenti di tegole, elementi architettonici di marmo e pezzi di mattoni. Una volta costruito l’elevato della chiesa, si realizzarono dei piani di camminamento interando quello che rimaneva della necropoli sottostante. La chiesa aveva l’ingresso nel muro di facciata posto a sud-est ed aveva l’abside rivolta verso l’ingresso della catacomba. Era divisa in due settori, e aveva la zona presbiterale sopraelevata rispetto a quella dei fedeli e vi si accedeva attraverso un passaggio con un gradino. La recinzione presbiterale era costituita da plutei decorati con un intreccio di nastri viminei. (alcuni pezzi sono stati recuperati nello scavo). I muri del presbiterio erano coperti completamente da affreschi, numerosi frammenti dei quali sono stati recuperati nello scavo. Al centro del presbiterio si trovava l’altare costituito da un unico blocco di calcare che conservava sulla superficie quattro incavi utilizzati per i sostegni della “mensa”. La navata della chiesa era di piccole dimensioni (m.5,30 X m.5,30) ed accoglieva pochi fedeli. La pavimentazione della chiesa era costituita da frammenti di laterizio (tegole e mattoni) e da lastre di marmo di recupero. Alcuni buchi di palo trovati durante lo scavo, testimoniano inoltre che la chiesa nel suo ultimo periodo di vita, non era in buone condizioni, in queste buche trovavano alloggio i pali che sostenevano le travi del tetto ormai cadente. Un’ interessante scoperta è stata fatta sullo strato di abbandono depositatosi sul pavimento, dove è stata rinvenuta una moneta di Roberto D’Angiò (1309-1343) a testimonianza che la chiesa era ancora frequentata almeno fino al XIII-XIV sec.”.