GLI ABITI DISMESSI CHE ALIMENTANO L’ILLEGALITA’

Si pensa che ogni anno in Italia la raccolta legale raggiunge la cifra di 135.000 tonnellate di capi dismessi. Il mercato parallelo abusivo, stimato nel 35% dell’usato, si fa carico di vendere gli indumenti riutilizzabili ai mercatini dell’usato

Alcuni giorni fa a coloro che passavano in Via 18 Dicembre sono balzate agli occhi delle immagini a dir poco sconcertanti. I cassonetti gialli adibiti alla raccolta degli indumenti usati traboccavano di panni e a terra una montagna di vestiti, pantaloni e merce varia copriva gran parte della strada, abbandonati alla più totale incuria da parte di coloro che – cooperative, associazioni varie ecc. – li avrebbero dovuto raccogliere. Una situazione veramente indecorosa che rispecchia ancora di più un forte degrado che esiste nel territorio.
Osservando quegli indumenti dismessi, e a quel punto ormai sporchi e penso inutilizzabili, mi sono posto una domanda legittima come del resto molti altri cittadini: ma tutti questi abiti usati, una volta raccolti, che fine fanno? E da curioso ho cominciato a cercare un po’ qua e un po’ là. I cittadini che depongono i loro indumenti dismessi, ma ancora utilizzabili, sono certamente convinti che tutti i loro panni vadano in beneficienza per i bisognosi oppure vengano riciclati in modo corretto. Purtroppo non è sempre così. Spesso dietro la raccolta c’è un vero business, addirittura nasce un mercato nero che tocca le dimensioni del racket. Certo, ci sono cassonetti e cassonetti, raccoglitori e raccoglitori, quelli autorizzati di cooperative e associazione varie che svolgono la loro attività con serietà, ma in realtà sorgono…spontaneamente anche – e ce ne sono tanti – quelli non autorizzati ma camuffati da regolari.
Le finte onlus ricavano guadagni illeciti dalla raccolta illegale del vestiario dismesso che si stima possa raggiungere alcune centinaia di milioni di euro. Il valore complessivo del riuso dei capi si ritiene che possa raggiungere la bella cifra di due miliardi di euro. Su questa cifra relativa al settore dei “panni usati” decisamente allettante è naturale – si fa per dire – che la criminalità organizzata da tempo abbia messo occhi e mani e che abbia posto in decine di comuni di alcune province italiane cassonetti gialli, come quelli autorizzati, per raccogliere gli indumenti per i bisognosi e indirizzarli e rivenderli invece a cifre molto alte nei Paesi del Nord Africa, dell’Est Europa ma anche nelle province di Napoli e Caserta, alimentando così traffici assai lucrosi, anche a livello internazionale.
Se si pensa che ogni anno in Italia la raccolta legale raggiunge la cifra di 135.000 tonnellate di capi dismessi, possiamo immaginare quanto il comparto della raccolta illegale – che raggiunge circa il 35% del totale – possa interessare la criminalità che può contare su circa 50.000 tonnellate di abiti usati: lucrosi traffici e lauti guadagni.
Ma qual è l’iter seguito da questi indumenti? Poiché il fenomeno è esteso e fa girare molti soldi intorno a esso, il Conan (Consorzio nazionale abiti usati) ha provato a fare dei conti, in assenza di dati ufficiali. Il 35% dei panni in buone condizioni è ceduto a negozi specializzati, il 55% degli abiti inutilizzabili viene riciclato da aziende specializzate, mentre il restante 10% finisce smaltito nelle discariche autorizzate. Il mercato parallelo abusivo, che il Conan stima in circa il 35% dell’usato, raccolto quindi illegalmente, si fa carico di vendere gli indumenti riutilizzabili ai mercatini dell’usato, mentre il resto viene abbandonato per strada, bruciato, accatastato o lasciato in discariche abusive.
Nell’indagine condotta dalla squadra mobile romana nell’ambito di Mafia Capitale, venne alla luce un traffico di indumenti dismessi che aveva come “mercato illegale” molti Paesi dell’Africa e dell’Europa orientale.
A questo punto però voglio tranquillizzare i cittadini che depositano i loro abiti usati nei cassonetti gialli autorizzati – ad esempio quelli della Caritas -: gli indumenti in buone condizioni seguono la strada delle donazioni e dell’altruismo verso i bisognosi, mentre quelli depositati nei raccoglitori di associazioni e cooperative autorizzate e impegnate in progetti di inclusione sociale vengono venduti a terzi.
C’è da porre in evidenza che la raccolta legale del vestiario dà lavoro a migliaia di persone lungo tutta la sua filiera.
Dal 2023, però, una direttiva europea obbligherà la raccolta differenziata degli abiti dismessi e questo combatterà radicalmente, si spera, l’illegalità del fenomeno.