BASTASSERO LE PAROLE

Dopo tre mesi è ancora vivo il ricordo del massacro a cui è stato sottoposto Willy Monteiro Duarte. Ancora oggi e sempre, lo sgomento per questa storia orribile, lascia senza parole. Le responsabilità sono individuali, ma la comunità artenese in che misura ne è ugualmente responsabile?

“La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci” scriveva Asimov in un libro di fantascienza. Ma la mattina del 6 settembre per gli artenesi è stato un brusco risveglio nella realtà. Il nome del nostro paese è rimbalzato sulla cronaca nazionale per l’omicidio efferato di un ragazzo di 21 anni, Willy Monteiro Duarte, massacrato di botte fino a provocarne la morte, da 4 ragazzi di Artena. Lo sgomento mi aveva lasciato senza parole, convinta però che bisognasse trovarle. Le domande che mi si affollavano nella mente, chi, perché, hanno subito lasciato il posto ad un’unica considerazione: 4 contro 1. E poi: i genitori del ragazzo, ma anche i genitori dei quattro… (non riuscivo a scrivere nessuna definizione); vite, famiglie distrutte per sempre. Ai genitori di Willy non potevo pensare: ad Artena, per dire che non si riesce neanche ad immaginare come possa sentirsi qualcuno colpito da un dolore così straziante, si usa l’espressione “non ce volarìa esse manco cammisa”. Pensavo invece, ai genitori dei quattro: sui social le persone si erano scatenate, puntando il dito contro di loro. Io non ho figli, ma so che essere genitori è una cosa difficilissima e non si dovrebbero sputare sentenze, soprattutto se si hanno figli, perché credo che nessuno cresca un figlio per farne un assassino, un furbo forse, uno scaltro, uno che se la sa cavare, ma non un assassino. La tentazione comunque di dire: non li conosco, non conosco i loro parenti, nemmeno i loro amici, non mi riguarda; la tentazione, dicevo, è stata forte. Volevo allontanare il più possibile da me quella storia orribile, quel peso che avevo sul cuore. Di chi era la colpa, allora? Perché questo pensiero, in quanto artenese, serpeggiava dentro di me: sono in qualche modo responsabile? Certo che le responsabilità sono individuali, la giustizia farà il suo corso e stabilirà chi ha fatto cosa. Ma la comunità artenese, in che misura ne è responsabile? Responsabilità è una bella parola, una parola pesante. Viene dal latino e significa abilità a rispondere: non la sfacciataggine della battuta pronta, ma l’attitudine a rispondere, cioè la capacità di rispondere reagendo alla situazione in cui ci si trova, l’inclinazione a fare la propria parte. Quindi una presa di coscienza della realtà cui segue la capacità di scegliere come rispondere. Ecco cosa urgeva, una risposta, una presa di posizione forte e chiara, da parte delle istituzioni che ci rappresentavano, ma anche individuale e collettiva, della società civile. Ma questa risposta tardava, era tiepida, titubante. Avremmo voluto compiere un gesto, portare un fiore, ma da più parti, anche dalle forze dell’ordine, giungevano richiami alla prudenza, gli animi si erano surriscaldati e si rischiava di esacerbare la situazione. C’era la sensazione di essere un paese in ostaggio, ma di cosa? Finalmente, dopo quasi una settimana, l’associazione #ArtenaBigFamily, meritevole ed autenticamente solidale, ha stampato e affisso in tutto il paese dei bellissimi striscioni con la scritta “Artena sta con Willy”; abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Solo a distanza di venti giorni dall’omicidio abbiamo fatto una fiaccolata per le vie cittadine per dire da che parte ci eravamo schierati. Ed eravamo circa 3000 su una popolazione di oltre 14.000 abitanti. Intanto sulla stampa nazionale, oltre che nelle trasmissioni televisive, avevano fatto strame del nostro paese. Si era levata qualche voce a dire, al di là dello stereotipo della periferia degradata, che Artena tende ad essere un posto poco inclusivo, un po’ refrattario, dove negli anni sono stati chiusi i luoghi di ritrovo nei quali almeno si provava a costruire un’alternativa. È venuta meno un’idea di aggregazione e di mescolanza come ricchezza, come spazio di confronto; certo è un problema culturale che non riguarda solo Artena, ma Artena in modo particolare. Quando si parla di cultura non si parla solo di libri, ma si parla di musica, di storia, di tradizioni, di educazione, di solidarietà, di senso civico, di legalità, della creazione di opportunità e di modelli diversi. Dopo quello che è accaduto è facile parlare di Willy come il figlio di tutti. Ma anche gli altri ragazzi, gli accusati, sono figli nostri, sono figli della comunità, di questa comunità che forse ha smarrito il senso di comunità. Un mese fa l’amministrazione comunale è stata travolta da un’inchiesta giudiziaria: proprio come accaduto per Willy, sembra che tutti sapessero, dopo. Ancora una volta sul paese è scesa una cappa di omertà e si tira avanti. Artena non merita questo. C’è bisogno di ricostruire il tessuto sociale, di recuperare il senso di legalità. C’è bisogno di uno scatto di orgoglio civile, per noi stessi, per i nostri figli, e anche per Willy. Perché noi non vogliamo dimenticare. Tutte le mattine andando al lavoro guardo lo striscione con il suo meraviglioso sorriso e penso che dovremmo dirlo con forza, in maniera limpida: “Saremo sempre dalla parte di Willy”. Di tutti i Willy del mondo.