L’Antiquarium è stato dedicato all’archeologo Roger Lambrechts, instancabile direttore di campagne di scavo a Piano della Civita. La realizzazione del Museo rappresenta il punto di arrivo di un lungo e faticoso percorso intrapreso dalla comunità artenese per la conoscenza e la riappropriazione della memoria storica
MASSIMILIANO VALENTI*

Stiamo vivendo un periodo durante il quale gli istituti culturali, in generale, e i musei, in particolare, soffrono la mancanza di fruizione e visibilità. Ho dunque trovato molto lusinghiero l’invito degli amici di Altra Artena a scrivere sul Museo Archeologico di Artena, che ho l’onore e il piacere di dirigere da diversi anni.
Intitolato all’archeologo belga Roger Lambrechts, che ha instancabilmente diretto campagne di scavo nella località Piano della Civita dal 1979 fino al 2005 (anno della sua morte), il Museo è ospitato nel settecentesco Granaio Borghese.
Definitivamente aperto al pubblico il 14 febbraio 2015 è in attesa di poter riprendere le sue molteplici attività (di ricerca, conservazione, didattica e divulgazione), sebbene, nel corso di questi mesi di incertezza e chiusure forzate, non si sia mai fermato realizzando: pubblicazioni (Paesaggi e architetture urbane di Montefortino. Nascita, distruzione e trasformazione di una città medioevale, a cura di M. Valenti, presentato il 10 Ottobre, e Guida del Museo Archeologico di Artena, di imminente uscita), prodotti multimediali (diffusi nei profili social), interventi sulle collezioni (catalogazione, informatizzazione e restauro) e progetti per il miglioramento degli allestimenti.
La realizzazione di questo Museo rappresenta il punto di arrivo di un lungo e faticoso percorso intrapreso dalla comunità artenese per la conoscenza e la riappropriazione della memoria storica. Una memoria fatta anche di reperti archeologici che, è bene evidenziarlo, sono andati dolorosamente dispersi nel corso dei secoli (ma soprattutto nell’Ottocento e nel Novecento) in altre collezioni museali, in raccolte private illegali alimentate dal mercato antiquario clandestino o semplicemente irrimediabilmente distrutti nella disordinata e intensa espansione edilizia, particolarmente intensa a partire dagli anni ‘70. Un rimpianto non da poco. La ricerca archeologica consente infatti di riscostruire pagine di storia non scritte, altrimenti perdute.
Solo a partire dagli scavi archeologici di Lorenzo Quilici al Piano della Civita (metà anni ‘60 del Novecento) nacque dunque l’idea di ospitare ad Artena, in un luogo specifico, le preziose testimonianze che la terra stava generosamente e miracolosamente restituendo. Un’idea portata avanti dal Gruppo Archeologico Artena, nato proprio in quegli anni, che per decenni ha sollecitato con costanza tutte le amministrazioni che si sono succedute alla guida del Comune.
Nucleo fondante delle collezioni è il materiale esposto nel 1989 nella mostra itinerante La Civita di Artena. Scavi belgi 1979-1989 (ospitata a Roma e a Louvain-La-Neuve, in Belgio), che si fermò proprio ad Artena, con l’apertura di un piccolo (e malsano) Antiquarium. Per la prima volta, una selezione dei reperti rinvenuti negli scavi diretti da R. Lambrechts, venivano esposti e rimanevano nella nostra cittadina. Nella raccolta confluirono anche i materiali recuperati nel frattempo nel territorio circostante dal Gruppo Archeologico.
La nuova sede nel Granaio Borghese, appositamente restaurato e allestito, su progetto degli architetti Anna Di Noto e Francesco Montuori (con Luca Montuori e Riccardo Petrachi), ha consentito di concepire e sviluppare un progetto organico di esposizione (redatto da Massimiliano Valenti) in senso topografico – cronologico, da una parte valorizzando le peculiarità morfologiche e artistiche dei singoli reperti, dall’altra cercando di rappresentare l’omogeneità dei contesti di provenienza.
Nella prima sala sono sistemati principalmente i reperti rinvenuti negli scavi condotti in località Piano della Civita e riferibili all’abitato vissuto tra l’età tardo-arcaica (inizi del V sec. a.C.) e quella medio – repubblicana (fine del IV – primo quarto del III sec. a.C.) e il materiale recuperato nel territorio circostante in siti dello stesso orizzonte cronologico. Allestimento importantissimo e raro, poiché non sono molti gli abitati di questo periodo storico indagati con costanza dalla ricerca archeologica e ancor meno quelli di cui è stato possibile organizzare una esposizione.
Si tratta di reperti riferibili alla vita quotidiana e alle strutture di un abitato caratterizzato da una prevalente economia agricolo – pastorale. Dolii, sostegni, olle, ollette, fornelli, anfore, brocche, in impasti torniti sabbiosi e grezzi, ma anche attrezzi e utensili di vario genere, prevalentemente in ferro. Costante il rinvenimento di pesi da telaio in terracotta, testimonianza dell’intensa attività di tessitura. Una breve iscrizione tracciata su uno di questi pesi conferma l’incombenza femminile per questo tipo di manifattura.
Tra i materiali esposti va segnalato il pregevole gruppo delle terrecotte architettoniche: alcune, di stile tardo-arcaico (inizi del V sec. a.C.), sembrano segnalare la presenza di apprestamenti monumentali (un tempio?) altrimenti archeologicamente non testimoniati; un secondo gruppo di terrecotte è invece riferibile alla decorazione di edifici del IV sec. a.C. e distrutti, come il resto dell’abitato, nel primo quarto del III sec. a.C.
L’abbandono traumatico e repentino dell’abitato ha fatto sì che molte delle ceramiche recuperate in frantumi potessero essere ricostruite in forme intere. Spiccano la bella serie di piattelli cosiddetti di Genucilia, dalla caratteristica forma e decorazione, e le raffinate ceramiche a vernice nera e a vernice nera sovraddipinta, che imitano le più preziose produzioni metalliche, deputate alla mescita del vino.
La seconda sala del Museo è invece dedicata agli insediamenti che vanno dalla prima età imperiale al tardo-antico.
Un posto d’onore è dedicato ai materiali scoperti nella villa rustica costruita sul pianoro sorretto dal terrazzamento centrale del Piano della Civita, tutt’ora in corso di scavo (a cura di Cècile Brouillard e Jan Gadeyne). Ceramiche da mensa e da dispensa, comuni, in terra sigillata italica e sud-gallica, anfore, vetri, utensili vari, macine e l’imponente grondaia in terracotta che decorava il tetto dell’edificio e frammenti della decorazione a intonaco dipinto, ravvivata da delicati motivi vegetali e animali.
Per quel che concerne i coevi insediamenti e ritrovamenti del territorio va certamente segnalato il gruppo di ceramiche comuni da mensa, in forme intere, verosimilmente riferibili a una fossa sacra (per un rito agreste?) di età giulio-claudia, provenienti dalla località Colle dello Schiavo.
Uno spaccato sull’età medio e tardo imperiale è offerto dai materiali provenienti da una serie di siti dislocati lungo il tracciato viario della Via Latina: si tratta di insediamenti rustici e relativi sepolcreti, che hanno restituito materiali di II-IV sec. d.C. (ceramiche in terra sigillata di produzione africana). Da Colle Maiorana, proviene l’importantissima e rara serie di cippi parallelepipedi (due esemplari sono esposti nel Museo, un altro è ancora, purtroppo, in mani private, a Boville Ernica), sui quali sono incisi testi metrici molto raffinati, che si inseriscono in un clima culturale e religioso assai peculiare, quello tra la fine del II e la prima metà del III sec. d.C., quando lo stato romano inizia a mostrare qualche debolezza, i barbari premono alle frontiere e si affermano religioni che tendono ad assumere aspetti sincretistici, in parallelo col diffondersi del cristianesimo.
Questo splendido Museo, fortemente voluto da tante persone, studiosi e appassionati, forestieri e artenesi, e formatosi grazie alla compartecipazione di varie istituzioni pubbliche (Soprintendenza, Regione, Provincia e Comune), potrebbe essere implementato e arricchito recuperando quanto è custodito in altri Musei e, soprattutto, quanto è ancora in possesso (illegale) di privati cittadini.
La creazione di una casa comune dove, attraverso i reperti archeologici, è narrata e celebrata la storia più antica di Artena, non concede più alibi in tal senso e mi fa ben sperare.
È il Museo il luogo dove condividere con orgoglio i frammenti di questa storia, che appartiene a tutti e non a una singola persona.
*Archeologo – Direttore del Museo
Antiquarium “Roger Lambrechts”