ARTENA E’ L’IMMAGINE DEL PRESEPIO

IL VESCOVO DIOCESANO MONSIGNOR APICELLA SCRIVE PER NOI

Alla luce dei fatti che hanno coinvolto la città in questi ultimi mesi, abbiamo tutti il dovere di interrogarci se siamo stati vigilanti, su noi stessi e nei nostri rapporti quotidiani con la realtà locale

A chiunque arrivi ad Artena, da qualunque parte provenga, non può non venire alla mente il ricordo dell’immagine di un presepio.
Certo, Artena si estende ben al di là del suo centro storico con le sue case arroccate le une sulle altre, il palazzo Borghese segno di antica nobiltà, la chiesa madre di Santa Croce svettante su tutto, le strette e tortuose scalinate, con tanti portoni ormai disabitati.
L’immagine oleografica di Artena deve fare i conti con una realtà sociale complessa e impegnativa, in cui si intrecciano problemi antichi e nuovi, che richiamano ad un impegno sempre maggiore coloro, e sono tanti, che hanno a cuore il “bene comune”.
La chiave di volta è proprio questa: il bene comune, che non è la somma dei beni di ciascuno, ma il prodotto di chi non pensa solo al proprio bene.
I recenti, tristi episodi, che hanno visto il nome di Artena comparire sulle pagine della cronaca giornalistica e mediatica, hanno la loro radice proprio in questa tentazione, da cui nessuno di noi è immune: cercare la propria supremazia sugli altri, la propria affermazione, il proprio interesse, magari andando, più o meno consapevolmente, al di sopra delle righe.
Non siamo autorizzati a giudicare e, tantomeno, a condannare nessuno, ma abbiamo tutti il dovere di interrogarci se siamo stati abbastanza vigilanti, anzitutto su noi stessi e, poi, nei nostri rapporti quotidiani con la realtà artenese.
Il natale he stiamo per vivere in questo tempo di sofferenza, dovuta anzitutto all’incubo della pandemia, oltre a tutto il resto, deve riportarci all’insegnamento che ci viene proprio dal Presepe del Natale, che Artena simbolicamente rappresenta e che gli artenesi hanno dimostrato di saper costruire in tantissimi modi, con grande bravura ed inesauribile fantasia.
Il Natale è la risposta di Dio alle nostre sofferenze, ai nostri problemi e alle nostre preghiere ed è una risposta strana, perché inaspettata e sorprendente, che ci arriva da un piccolo Bambino fragile e indifeso, che nasce in una stalla, tra povera gente.
Così ho scritto in questi giorni per il mensile diocesano e credo che questi pensieri, che non sono miei ma scaturiscono dalla Parola di Dio, possano essere utili anche qui per aiutarci ad attingere dal Natale che viene quell’energia positiva e quel supplemento di speranza di cui abbiamo bisogno.
Sant’Agostino disse una volta che Dio parla attraverso un neonato che non sa ancora parlare: “osserva, uomo, che cosa per te è diventato Dio: sappi accogliere l’insegnamento di tanta umiltà, anche in un maestro che ancora non parla…il tuo Creatore per te giaceva bambino in una mangiatoia e non chiamava per nome neanche sua madre” (Sermo 188); non per nulla il Salmo esclama: “con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli”(Sal.8,3).
Ma cosa ci dice Dio attraverso questo Bambino.
Ci dice: “Io sono con te, non avere paura, tu sei prezioso ai miei occhi, faccio mia la tua debolezza, le tue sofferenze, le tue lacrime, che conservo una ad una, perché siano la semina di un raccolto che nessuno ti potrà rubare e che non passerà, anche se i cieli e la terra passeranno”.
Ci dice ancora: “impara da me che sono il Dio Forte, ma ho voluto mettermi tra le tue braccia e nelle tue mani, per farti capire quanto infinitamente ti amo, chiunque tu sia, qualunque cosa tu abbia fatto, anche se mi hai regalato una croce”.
“Ascolta la mia Parola, che illumina la vita dei piccoli e rimane oscura per i sapienti, gli intelligenti ed i potenti di questo mondo. Io ho scelto di essere povero per rendere i poveri beati, di essere debole per confondere i forti, di essere un niente per ridurre a niente quelli che pensano di essere qualcuno”.
“Se mi accogli scoprirai la verità di tutte le cose e la verità ti renderà libero, libero da tutte le falsità, le mistificazioni, le schiavitù che il mondo continuamente produce”.
“Come mi accogli oggi, povero e debole, comincia a riconoscermi in tutti i poveri ed i deboli che incontrerai sul tuo cammino ed allora potrai essere riconosciuto ed accolto nella mia Gloria”.
“Non mi aspetto che tu mi faccia dei regali o mi doni qualcosa, neanche oro incenso e mirra, ma sono Io che ti dono la mia vita e, prima della mia, ti ho donato la tua, con tante capacità e talenti, che non puoi nascondere sotto terra o tenere solo per te, ma devi usare per il bene di tutti, perché fiorisca la giustizia e la pace in un mondo pieno di egoismo, di violenza e di contese”.
I toni un po’ smorzati di questo Natale nella pandemia, i rumori meno assordanti, le luci meno abbaglianti forse ci renderanno capaci di percepire meglio quello che il Bambino di Betlemme ci dice e di trovare le energie per “rinfrancare le mani cadenti e le ginocchia infiacchite”, come ci raccomanda la Lettera agli Ebrei (12,12), per costruire la pace, guardandoci intorno e scoprendo tanti fratelli che portano in cuore la stessa nostra speranza.
Se riusciremo a sentirci più vicini, più solidali, più attenti gli uni agli altri, avremo sconfitto il peggiore dei virus che ci può infettare, quello dell’indifferenza, della paura dell’altro e della chiusura in noi stessi e allora non sarà un Natale sprecato.

BUON NATALE!
  • Vincenzo Apicella
    Vescovo della Diocesi Suburbicaria
    Velletri-Segni