IMPARARE A VIVERE DA CRISTIANI

MONSIGNOR CESARE CHIALASTRI VICARIO DIOCESANO E PRESIDENTE CARITAS DIOCESANA SCRIVE PER NOI

Il nostro periodico, nei numeri precedenti, ha messo sempre in risalto le difficoltà in cui sta vivendo la popolazione di Artena in questi tempi. Lo abbiamo fatto anche sentendo Don Christian Medos, che abbiamo definito prete di frontiera, che ci ha raccontato i disagi della Città. In questo numero desideriamo allargare il discorso parlando non solamente dei disagi di Artena ma anche di quelli che investono l’intera diocesi. Chi, allora, meglio del direttore della Caritas Diocesana, don Cesare Chialastri, che è anche vicario della Diocesi di Velletri-Segni, può farci capire come è davvero la situazione?
La Caritas Italiana è stata fondata per volere esplicito di Paolo VI nel 1971. Il suo indirizzo era quello di sostituire il POA (Pontificia Opera di Assistenza), ma con mete non più assistenziali, ma pastorali e pedagogiche. In realtà, le catastrofi naturali o quelle causate dall’uomo, ma anche le crisi economiche che si sono susseguite in questi ultimi cinquanta anni, hanno distolto la Caritas dal progetto principale di Paolo VI, che è stato comunque perseguito.
Nella considerazione della gente la Caritas è quell’organismo pastorale che aiuta le famiglie in difficoltà. Papa Francesco ha voluto ribadire che misericordia, amore, attenzione agli altri, impegno di missionarietà e di promozione umana verso le periferie del mondo, sono le parole chiave del magistero dello stesso Papa, che attraverso l’enciclica Lumen Fidei (scritta di concerto a Papa Benedetto) e l’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium ha spronato la Caritas a proseguire nell’impegno quotidiano accanto ai più sofferenti.
Scopo principale della Caritas diocesana, quindi, è quello di più ampia collaborazione con il Vescovo nel promuovere all’interno della Chiesa l’animazione della Carità e il dovere di tradurla in interventi concreti.
Ecco, come si esplicano nella Caritas diocesana che guida Lei, questi interventi concreti?
Ho sempre pensato che animazione e azione concreta debbano stare insieme. Non si può fare l’una senza l’altra. Perché o si cade nell’intellettualismo (si parla di cose che non si sono mai viste o né abbiamo conoscenza superficiale perché ho sentito dire qualcosa in una trasmissione) o in un fare che è concreto, che sa guardare in faccia la gente che si sostiene, ma che non fa crescere la comunità: sono le azioni degli ‘escursionisti solitari’. La Caritas Diocesana ha il compito di animare la comunità parrocchiale (e anche civile) alla solidarietà, all’attenzione e centralità dei poveri: gli immigrati, le donne che subiscono violenza, a coloro che con difficoltà accedono alle cure sanitarie, a chi sta facendo il percorso del reinserimento sociale perché sono ai margini della vita sociale, ecc. Per fare questo la Caritas deve avere mani, testa e cuore nelle situazioni in cui la gente vive con queste problematicità. Da questa premessa nasce l’azione della Caritas diocesana e anche delle Caritas parrocchiali (nelle parrocchie in cui essa esiste). Il primo passo essenziale è l’ascolto delle persone, delle loro storie (quelli che chiamiamo i bisogni o richieste). Questo si fa prevalentemente nel Centro di ascolto diocesano ‘San Lorenzo’ a Velletri e nei Centri di ascolto parrocchiali. Si ragiona e si pensa sui dati raccolti (la Carità ha una dimensione culturale!!): ragionando su di essi nascono le azioni immediate di risposta, viene fuori quello che la comunità parrocchiale e diocesana riesce a fare ad es. beni alimentari; cure farmaceutiche e sanitarie; sostegno per il pagamento dei servizi o dell’affitto, ecc. Ma non solo queste azioni, anche quelli che noi chiamiamo progetti e che si realizzano in un luogo, con l’accompagnamento di operatori e volontari, che durano nel tempo per far in modo che le persone accolte abbiamo la possibilità di fare percorsi di reinserimento sociale-economico. Attraverso di essi riacquistino o acquistino la loro autonomia e la capacità di essere soggetti che sanno camminare con le proprie gambe. In questi ultimi venti anni, di progetti ne sono nati diversi: il progetto Casa Nazareth a Gavignano per le donne vittime di violenze; “San Lorenzo” a Velletri per l’accoglienza dei detenuti che possono utilizzare dei permessi e ricongiungersi con le loro famiglie; “Casa di Ronny” a Velletri per venire incontro ai ragazzi della scuola dell’obbligo a rischio abbandono scolastico; alcuni mini-appartamenti a Velletri e Colleferro (presso le Parrocchie) per accoglienza di persone o famiglie che sono in difficoltà abitative; il progetto immigrati per l’ inserimento delle persone extra-comunitarie; il progetto con i giovani presso le scuole superiori per l’educazione alla solidarietà (6-8 incontri ed esperienze presso alcune classi superiori di Velletri e Colleferro). Poi c’è il lavoro che sostiene le parrocchie per il rifornimento dei beni alimentari (magazzino ad Artena) e il futuro Emporio sociale da realizzare a Velletri. A ciò si aggiunge il fondo per il microcredito e il lavoro contro l’usura e il gioco d’azzardo. Il lavoro dei progetti è quantitativamente esteso ed è impegnativo (persone, risorse, strutture, ecc), ma ciò che mi sta a cuore sottolineare è l’impegno per far crescere, attraverso il loro concreto svolgersi, la sensibilità e la maturità dei cristiani e delle comunità su queste tematiche. Essi dovrebbero essere un impulso per far crescere lo spirito evangelico, che Papa Francesco richiama e sollecitata continuamente. Il lavoro dell’animazione è …gigantesco!! E visto il clima culturale che respiriamo anche all’interno delle comunità cristiane”.
E’ davvero così mortificante – come si sente dire sempre – la situazione diocesana riferita alle famiglie in difficoltà, e quali sono le vere difficoltà: si parla di povertà, di indigenza, ma anche di altre situazioni davvero terribili come quello del consumo della droga, o quello del bullismo nelle scuole o addirittura della prostituzione minorile. Su questi argomenti come si pone la Caritas diocesana?
“Alcuni dati che fanno riferimento a queste tematiche (consumo della droga, o quello del bullismo nelle scuole o addirittura della prostituzione minorile) a cui lei accenna non sono evidenti e numericamente allarmanti presso i Centri di ascolto. Occorre a mio avviso non andare dietro le notizie che dicono cose vere ma vanno circoscritte a quell’episodio e a quel luogo. Sono fatti, esperienze di cui sono possono essere stato testimone diretto, o sono fatti che mi sono stati raccontati. Essi non vanno amplificati o allargati su ampia scala come problemi che riguardano tutti. È invece importante ragionarci, leggerli accanto ad altri dati (ad es. la povertà educativa e scolastica, il degrado sociale, l’utilizzo dei giochi, le povertà relazionali ed affettive, ecc) e individuare con altri soggetti presenti nel territorio (famiglie, associazioni, scuola, istituzioni, ecc) le opportune azioni educative. Non vorrei che ci fermassimo alle denuncie più o meno fondate, vanno avanzate proposte percorribili mettendo insieme soggetti diversi”.
C’è collaborazione, oltre che con le Chiese delle varie Città, anche con i governanti di tali luoghi? Sarebbe interessante poter mettere in atto una stretta intesa fra Caritas diocesana e Comuni, non pensa?
“Il tema della collaborazione sia all’interno della Chiesa e con i comuni è per la Caritas vitale, sta nel suo statuto. Lo è all’interno della vita ecclesiale: la Chiesa non può non essere coesa, unita … ne va di mezzo la sua natura, il suo DNA. Su questo livello vedo desiderio, tentativi, prove riuscite, azioni comuni interessanti. A volte tutto questo risulta difficile poiché prende il sopravvento l’iniziativa personale, il non riuscire ad attendere il passo degli altri, la difficoltà ad individuare nelle parrocchie le persone capaci di fare un lavoro che coinvolga altri e che tenga conto degli apporti diversi. Tutto questo ha a che fare con la formazione cristiana ed ecclesiale dei volontari Caritas (cioè dare forma all’azione). Si tratta di imparare a vivere da cristiani. Il rapporto con i Comuni risulta essere più complesso e segue una linea che è altalenante, meglio insegue la traiettoria delle politiche sociali che risultano essere sempre meno incisive di fronte alle problematiche complesso e sempre più mancanti di risorse. Le persone che nei Comuni dovrebbero guidare l’ascolto, l’accompagnamento e la cura delle persone in difficoltà e cioè gli assistenti sociali sono pochi, isolati, e con poche risorse. Per cui spesso indirizzano le persone alla Caritas per fare richiesta di sussidi, beni alimentari, pagamento di bollette, cure mediche, ecc. In questo ultimo periodo (da febbraio 2020) in media le persone presso i centri di ascolto sono aumentati del 30%. Non si riesce a pensare e realizzare un modello in cui il servizio pubblico valorizzi il privato sociale e faccia da regia per legare energie che sono presenti nei nostri territori. Si lavora ancora a compartimenti stagni e nella logica dell’autosufficienza”.
La sua esperienza è talmente vasta sull’argomento che vorremmo che ci aiutasse a comprendere come potrebbero risolversi certe situazioni di disagio…… Don Christian Medos in una recente intervista al nostro periodico ha detto che la situazione di Artena è davvero grave….non
conosciamo la realtà degli altri Comuni che fanno parte della diocesi, crediamo, però, che non sia poi così diversa da Artena. Ci ha informato che “Oltre al tema della droga è preoccupante il fenomeno della povertà. Solo le due Caritas parrocchiali raggiungono circa 100 famiglie. Spesso alla questione economica si lega quella culturale e sociale. Artena è una cittadina straordinaria, ma mi permetto, con grande rispetto, di sottolineare un’urgenza non più procrastinabile: bisogna lavorare sui conflitti e sulle divisioni. Occorre iniettare una cultura del perdono, della collaborazione, facendo cogliere alla gente che solo uniti si possono raggiungere obiettivi che migliorano qualitativamente la vita delle persone”.
Lei è d’accordo su questa analisi? Può aggiungere qualche parola che ci conforti e che ci faccia vedere la luce in fondo al tunnel?
“Non sono in grado di dire parole capaci di orientare vie di uscita. Ho la convinzione che nel Vangelo si scopre che Dio si è fatto povero con i poveri e si è messo in cammino con tutti scegliendo questo itinerario. La storia umana è stata ed è segnata da esclusioni, ingiustizie, persone che sono scartate, umiliate. Questo è riconducibile spesso a una mancanza di responsabilità. La domanda per ciascuno è quello di Caino dopo l’uccisione di Abele: “sono forse io il custode di mio fratello?”. Questa domanda ha segnato nella storia, anche nostra contrassegnata dalla pandemia, la via di tante povertà. Occorre camminare e crescere nella responsabilità, nell’ importanza di entrare in relazione, nella necessità di incontrare le persone e non solo i problemi: è una domanda di fraternità e di giustizia. I poveri rilanciano questo interrogativo soprattutto nella vicenda personale di ciascuno di noi. Credo che dalla risposta a questa domanda di responsabilità si può costruire qualcosa di interessante che ha il sapore della speranza.”