IN MEMORIA DEI CONNAZIONALI ISTRIANI, DALMATI E GIULIANI

La ricorrenza dedicata al “ricordo” dei massacri di migliaia e migliaia di italiani (fra i 5.000 e gli 11.000) gettati nelle profonde cavità carsiche. Un vero genocidio nei confronti di italiani

Due sono le date da non dimenticare mai: 27 gennaio e 10 febbraio. La prima, la Giornata della Memoria, celebrata e più mediatizzata, la seconda molto meno. Sono le due date che ogni cittadino dovrebbe avere incise nella propria mente ma soprattutto nel proprio cuore. 10 febbraio, il Giorno del Ricordo, una ricorrenza dedicata al “ricordo” dei massacri di migliaia e migliaia di italiani (fra i 5.000 e gli 11.000) alle “foibe”, (profonde cavità carsiche naturali spesso a forma di imbuto). Un vero genocidio nei confronti di italiani a opera dei partigiani di Tito in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia e nell’Esodo, detto “giuliano-dalmata”, di 350.000 connazionali da alcune terre di quel territorio – poi passato all’ex Jugoslavia titina- costretti a lasciare le proprie case, ogni loro bene e tutti i loro affetti. Con la legge del 30 marzo 2004 n.92 che detta: “La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale Giorno del Ricordo al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”, viene scelta questa data – data simbolica- per ricordare il giorno in cui a Parigi nel 1947 venne firmato il Trattato di pace a seguito del quale venne sancita la cessione di buona parte della Venezia Giulia, di Fiume e delle isole del Quarnaro e di quasi la totalità dell’Istria e degli altopiani carsici a est e nord-est di Gorizia e di Zara, alla allora Jugoslavia di Tito e l’abbandono di molte città (fra cui Trieste, Gorizia, Pola e Fiume) della sponda orientale dell’Adriatico, dove l’elemento italiano era maggioritario. Le persecuzioni, che si conclusero con i massacri, avvennero subito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, dopo tre anni di guerra e la caduta del fascismo (25 luglio 1943). Lo sbandamento delle forze armate italiane dinanzi all’aggressione tedesca portò in pochi giorni al collasso dell’intero apparato statale italiano sul territorio. Il vuoto di potere favorì la presenza improvvisa dei partigiani comunisti di Tito che occuparono varie località, istaurando i “Poteri popolari”. Nel caos venutosi a creare, iniziarono violenze non solo a valenza politica ma anche dettate da un misto di “rivalse sociali, nazionali, ideologiche e personali”, per la presenza nelle file partigiane jugoslave di moltissimi esponenti nazionalisti, i “narodujaci”, che rivendicavano il territorio della Venezia Giulia alla “nuova Jugoslavia” cui aspiravano fortemente. Fu una vera mattanza in piena regola dal momento che i corpi degli italiani ancora vivi, legati uno all’altro con fili di ferro, furono gettati nelle famigerate fosse carsiche, le foibe, a seguito di atti di rappresaglia da parte dei partigiani titini contro i fascisti. Nell’ottica della “nuova Jugoslavia” vennero presi di mira non solo militari e appartenenti alle forze dell’ordine ma anche civili italiani, donne, uomini e bambini inermi, che rappresentavano in qualche modo lo Stato italiano. Trucidati dopo una lunga agonia, lasciati morire solo per il fatto di essere italiani o anticomunisti: una vera e propria pulizia etnica mascherata da azioni di guerra, con la bieca volontà di eliminare gli oppositori all’annessione dei territori all’allora Jugoslavia. Anzi, un vero genocidio per la “nuova Jugoslavia”. L’Esodo – in gran parte conseguenziale alla perdita dei territori- si concluse invece nel 1954 e costrinse gran parte dei profughi ad essere trattenuti in speciali campi in terra italiana, dove rimasero per anni. Circa 350.000 fra uomini, donne e bambini che decisero di nascere “italiani due volte”, riaffermando la loro identità, la loro etnia e la loro cultura, si trasformarono loro malgrado in profughi nella loro stessa Patria, troppo spesso matrigna, che purtroppo li abbandonò e li costrinse in gran parte a migrare in terre lontane. E su questo non sarebbe opportuno fare commenti e paragoni con eventi odierni perché non calzerebbero con le situazioni contingenti. Per oltre 50 anni sia sulle “Foibe” che sull’ “Esodo” si stese un complice assordante silenzio, un silenzio negazionista su una delle più drammatiche e dolorose pagine non solo della fine della Seconda guerra mondiale ma di tutta la storia italiana. Un silenzio squarciato solo nel 1996 dall’allora Presidente della Camera Luciano Violante e poi nel 2004, come detto, dall’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano con la legge n.92, che istituì il “Giorno del Ricordo”. Purtroppo ancora oggi la disinformazione o la parziale informazione sulla tragedia che colpì profondamente il nostro Paese è semplicemente sconfortante, complici anche molti libri scolastici e alcuni media. Solo un tiepido ricordo delle agghiaccianti vicende riuscirà a infrangere finalmente e completamente il muro opportunistico e ipocrita del silenzio e della menzogna? L’ “oblio e le forme di rimozione diplomatiche hanno pesato nel passato e causato pesanti sofferenze” affermò alcuni anni fa l’allora Capo dello Stato G. Napolitano, che promosse il “Giorno del Ricordo”.