IL NOSTRO COLLABORATORE VITTORIO BEGLIUTI CI FA CONOSCERE MEGLIO LA FESTA DEGLI SCHERZI E DELLE MASCHERE
Il Carnevale attuale – la festa più pagana che ci sia – ha origini antichissime che risalgono alle festività egizie, il “Navigium Isidis”, a quelle greche dette le “Antesterie” e a quelle romane, i “Saturnalia”, dedicati al dio saturno e in ricordo della mitica “età dell’oro”, periodo in cui l’umanità aveva vissuto in pace e senza la necessità di lavorare. Nell’antica Roma con le feste dei “Saturnali” si chiudeva un ciclo, quello della semina e iniziavano i festeggiamenti. Era il periodo in cui i ruoli sociali diventavano un ricordo: assenza di legge per i Tribunali chiusi, gli schiavi si affrancavano, i padroni diventavano schiavi (si mascheravano), i giochi proibiti erano consentiti. Ogni licenza, dunque, era permessa, ogni rigido schema di vita civile era abolito. Le feste che si svolgevano rappresentavano simbolicamente un cambiamento, un rinnovamento che sarebbe durato poco tempo e che si sarebbe ripetuto solo all’inizio dei successivi “Saturnalia”. Solo durante la festa egizia dedicata alla dea Iside c’era l’usanza della presenza di gruppi mascherati, mentre durante la festa greca si aveva l’avvento dell’usanza del carro mascherato (in maschera c’era colui che avrebbe restaurato il cosmo dopo il primordiale Kaos). I “Saturnalia” invece era una festa in cui si rinnovava, comunque, il rapporto, il legame tra gli uomini e gli dei, ci si scambiavano doni e “biglietti” augurali, mentre un uomo coperto di pelli di capra era portato in processione. Le tre feste si celebravano a conclusione dell’anno agricolo e coincidevano con il solstizio d’inverno. Dopo i festeggiamenti tutto tornava nella legalità nel segno di Giano (da cui prende il nome il mese di gennaio) in attesa delle nuove feste: i “Lupercalia”, che con il Carnevale odierno ha in comune non solo il periodo dell’anno ma anche i tipici “scherzi”. I “Luperci” erano gli appartenenti ad un “sodalizio ferino istituito prima della civiltà e delle leggi”. Durante questa festa i romani potevano assistere a una loro corsa che durava un solo giorno lungo il “pomerium” e la Via Sacra. Lungo il percorso i “luperci” prendevano in giro i passanti e percuotevano le donne con le “februe” (da cui prende il nome il mese di febbraio), lunghe strisce di pelle di capra le cui percosse avrebbero favorito la loro fertilità. Secondo Ovidio, i “luperci” non erano altro che pastori dediti al recupero del bestiame rubato per conto di Romolo e Remo. Anche nel Vicino Oriente Antico si celebravano feste con processioni allegoriche con rappresentazioni delle forze del Kaos, della morte e della resurrezione, ma poco dopo l’equinozio primaverile. Queste feste generalmente riconducevano a un momento di cambiamento della terra e sulla terra, a una manifestazione del “passaggio aperto tra gli inferi e la terra abitata dai vivi”. Le anime erano rivestite con maschere che spesso avevano un significato apotropaico. Il termine “carnevale” deriva dal latino “carnem levare”, cioè “eliminare la carne”, perché dopo il periodo di baldoria e di dissolutezza della festività seguiva il periodo di proibizione del consumo della carne, il digiuno e l’astinenza della Quaresima. Ma ormai siamo nel più recente passato. Ormai il mese di marzo era vicino. L’uso della parola “Quaresima” risalirebbe al XIII-XV secolo e il vocabolo usato era anche “carnevalo”. Generalmente quindi il Carnevale si festeggiava tra la fine del vecchio anno e l’inizio del nuovo, tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera: finiva una stagione e ne iniziava una nuova. Era una festa, quindi, di origine contadina che continuò, secondo tradizione, anche durante il Medioevo. A Roma in questo periodo sul Monte Testaccio si svolgevano giochi carnascialeschi di una violenza inaudita. Tra il XV e il XVI secolo i Medici continuarono la tradizione del carnevale organizzando mascherate su carri accompagnate da canti, suoni e balli. Con il ritorno dei Papi dall’esilio di Avignone il Carnevale romano si trasformò: si svolse la famosa “corsa dei berberi” (corsa di cavalli senza fantino, vietata poi nel XIX secolo a causa della gravità degli incidenti che provocava) e la “gara dei moccoletti”, i cui partecipanti gareggiavano nello spegnere le candele dei concorrenti. Con i papi Giulio II e Paolo III si aggiunsero le sfilate dei carri allegorici e il carnevale fu caratterizzato sempre più da balli, da divertimenti e da comportamenti anche eccessivi. Famoso è rimasto il carnevale organizzato sotto Pio V nel 1567 dal popolare Filippo Neri, dai romani detto bonariamente “Pippo bbono”, che inventò il suo carnevale con la “Visita delle sette chiese”. Per la Chiesa e per Roma il XVI secolo fu un secolo drammatico: insorgeva e divampava la protesta luterana e calvinista che minavano il primato romano, la Città era invasa e saccheggiata dai Lanzichenecchi (1527) e subiva il sacco voluto da Carlo V. e in più si aggiunse la pestilenza. Fu questo il clima che Filippo Neri visse a Roma quando inventò il pellegrinaggio-visita delle Sette Chiese, accostando il sacro al profano. Due giornate di visite in compagnia, unendo la preghiera, la riflessione e lo svago, ristorando lo spirito e il corpo, in alternativa all’atmosfera pagana che pervadeva Roma durante il chiassoso, ridanciano e peccaminoso carnevale romano. L’originale idea del Santo fu quella di associare il culto dei santi e dei martiri con il fascino delle bellezze artistiche e archeologiche che s’incontravano lungo il cammino, alleggerito, peraltro, da melodie e preghiere, da momenti di contemplazione e di silenzio che s’intrecciavano con il dolce ricordo di una scampagnata, tanto cara da sempre ai romani, fra le suggestive e magnifiche memorie della città eterna. Assai diverso fu, quindi, il carnevale del Santo da quello che si festeggiava nel resto della città, fra divertimenti sfrenati e spesso licenziosi, fra pubbliche manifestazioni e mascherate popolari, fra ricevimenti, balli, feste musicali e teatrali allestite per lo più nei sontuosi palazzi patrizi. Primeggiava il lusso, lo sfarzo e lo sperpero che spesso le autorità cercavano di limitare con pene severe: fustigazioni e a volte condanne a morte. Durante il carnevale Roma si trasformava in una bolgia infernale e uomini e donne travestiti e mascherati riuscivano a togliersi qualche…voglia di troppo: mogli con prestanti giovanotti, mariti con prosperose popolane. Era una breve ma intensa battaglia al grido “morammazzato chi non regge er moccolo”. A pochi minuti dal mercoledì delle Ceneri, però, tutto si concludeva: maschere messe da parte, “moccolotti” spenti. Si era pronti ad affrontare la Quaresima con la penitenza, l’astinenza e il digiuno: Il divertimento, soprattutto quello licenzioso, era un lontano ricordo. Ora il Carnevale è una tradizione quasi scomparsa: rimangono poche sfilate di carri allegorici, qualche festa in casa o in locali, qua e là cene fra innamorati e amici. In tempo di pandemia anche questi “riti” sono stati accantonati.