I SIMBOLI DELLA PASQUA E IL LORO SIGNIFICATO

L’uomo della preistoria aveva come semplice espressione – mancando l’uso della parola scritta o della capacità di lettura – e unica possibilità di rapportarsi con gli altri o di esternare le proprie emozioni o di trasmettere ai discendenti le proprie attività quella di scalfire la roccia con l’incisione di semplici figure: immagini di animali, di esseri umani, di attività lavorative e di comprensibili sensazioni. Nei millenni trascorsi da allora quasi nulla è cambiato. La nostra vita ormai non può fare a meno di utilizzare segni, figure, simboli e la pubblicità è l’esempio tangibile. Ma cos’è un simbolo? E’ una parola figurata, un’immagine, una semplice figura che contiene molto “più di quanto si possa scorgere a prima vista”. Ma che funzione ha? “Il simbolo ha la funzione di dare la giusta collocazione a uno degli assi del processo naturale di ominizzazione, dalla materia al divino” (Paul Poupard). E’, insomma, una chiave di lettura per comprendere, riconoscere, certificare e garantire un rapporto fra colui che lo ha realizzato e chi in quel momento lo sta ammirando. “Esso comunica così un’esperienza totale” al lettore, al visitatore, afferma G.Heinz-Mohr. Di fronte a rappresentazioni (de visu nelle catacombe e nelle chiese o osservando foto o dvd) e a immagini –alcune meravigliosamente mostruose, altre orribilmente belle- su cui il nostro sguardo si posa ci poniamo delle domande: cosa significano, a cosa servono, cosa ci vogliono dire? Uno dei più grandi uomini e monaci medievali, Bernardo di Chiaravalle (morto nel 1153) criticò in realtà vigorosamente la “rigogliosa ricchezza” di figure simboliche e allegoriche del suo tempo perché a suo parere “potevano troppo facilmente traviare la fantasia”, come invece non avveniva per le antiche e fondamentalmente più semplici immagini simboliche. Potevano, secondo il monaco, i simboli moderni del suo tempo troppo facilmente distrarre dalla contemplazione e traviare la loro lettura, la loro interpretazione. In parte era vero e lo è ancora oggi perché si può rimanere confusi e sbalorditi nell’osservare tali simboli senza l’aiuto di esperti o cultori di Storia dell’arte. Le loro spiegazioni danno una precisa interpretazione e i simboli diventano comprensibili. Per iniziare a parlare della simbologia cristiana si deve partire dalle catacombe, dalle quali ci perviene la più antica documentazione iconografica dell’arte cristiana. Possiamo affermare senza alcun dubbio che molta della storia dell’arte occidentale coincide con la storia della Chiesa cristiana: iconografia e simbologia che derivano dalla dottrina e dal movimento di devozione che si stava diffondendo e tuttora si diffondono. Le immagini, i simboli trovano il loro significato iconologico e favoriscono la devozione popolare. Le prime manifestazioni, peraltro modeste, hanno inizi proprio nelle catacombe, cimiteri cristiani, nel sorgere del III secolo d.C., anche se già da qualche anno le pareti di alcuni complessi venivano decorati con linee di colore rosso e verde, con elementi vegetali e animali e maschere che ricordano oggi i temi figurativi della pittura romana pagana. I nuovi segni cristiani non vengono a sconvolgere e a distruggere gli antichi sistemi decorativi, ma convivono con essi fino a esprimere un proprio linguaggio nuovo, originale e catechetico. Le prime forme d’arte cristiana spesso riprendono molte immagini elaborate dalla mitologia o tratte dall’ Antico e dal Nuovo Testamento: Endimione è Giona, Noè ricorda Deucalione, Hermes diviene Mosè, l’Orfeo citaredo è assimilato al Buon Pastore-Gesù, Elia ricorda Helios. A questo punto ci potremmo porre una domanda: perché i primi cristiani hanno sentito il bisogno delle pitture rappresentative, dei simboli nelle catacombe? Cioè, quale funzione potevano avere le figure che abbellivano con abbondanza gli arcosoli, i cubicoli e le gallerie di questi cimiteri sotterranei? Le immagini, come detto, sono un modo di comunicare e quindi sono chiamate a trasmettere sentimenti, idee, concetti, simboli realizzati attraverso figure semplici e comprensibili a tutti, specialmente a coloro che allora non sapevano leggere. Era un modo semplice ma efficace per istruire i fedeli. Al suo nascere l’arte cristiana scelse per le sue rappresentazioni quei soggetti che potessero con più forza e rapidità esprimere il concetto di fede nella salvezza, offrendo ai fedeli una specie di Bibbia illustrata, comprensibile a tutti. Del resto sappiamo che nell’antichità il fenomeno dell’analfabetismo raggiunse fra la popolazione livelli altissimi. E’ così che la pittura cristiana abbandona per sempre il semplice scopo decorativo, che era della pittura romana, per acquisire un significato catechetico per le prime comunità cristiane. Si rappresentano così scene ispirate all’Antico Testamento, dove vi sia sempre forte il concetto della salvezza divina, ponendo la massima cura nell’evitare le rappresentazioni drammatiche e cogliendo i momenti in cui il pericolo è passato: Daniele che non viene sbranato dai leoni o i tre fanciulli ebrei che non sono bruciati nella fornace. Anche gli episodi tratti dal Nuovo Testamento hanno tutti un forte significato salvifico, scelti fra quelli che meglio esprimono un concetto positivo, come i miracoli di Gesù: moltiplicazione dei pani e dei pesci e le guarigioni. Esprimevano quindi la fede dei cristiani nella salvezza, nella risurrezione attraverso scene della Bibbia. A questo punto mi sembra opportuno fare due considerazioni: la prima è che i temi del repertorio artistico si presentano come il frutto di una scelta accurata, giudiziosa e mirata, come il concetto di salvezza, del Battesimo e dell’Eucarestia che doveva necessariamente scaturire da una buona e profonda conoscenza della propria religione; la seconda è che la frequenza e la somiglianza degli stessi cicli pittorici abbiano un’unica regia, forse sotto le direttive della stessa Chiesa, ma con una trasmissione di modelli artistico-iconografici simili a tradizioni orali o scritte. E’ certo però che le prime immagini che caratterizzano l’arte paleocristiana sono quelle simboliche. Nel suo repertorio trovano un posto di rilievo sicuramente quelle che alludono a Cristo, come il “pesce” – termine dal greco “ichthius”, un acrostico per “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”. Anche l’ “ancora” a forma crociata, allusivo alla salvezza raggiunta, assume un significato cristologico. Altro elemento figurativo che allude a Cristo è il Buon Pastore. Sono queste, per esempio, le prime e le più frequenti immagini-simbolo. Ma gli artisti cristiani non rinnegano i programmi figurativi della pittura romana ma ad essi vengono dati innegabilmente nuovi valori contenutistici, come soggetti floreali e animali, che ora esprimono i concetti di pace paradisiaca. Non ho parlato fino a ora del simbolo più universale e usato in realtà molto tempo prima che l’arte cristiana lo facesse proprio. Siamo in tempo pasquale e la “Croce” acquista il significato preciso di “morte” ed era allora anche per i primi cristiani il simbolo della morte, ma di una morte scandalosa e infamante. Le prime rappresentazioni della croce, quindi, furono accettate con grande difficoltà e reticenza dai cristiani – come scrive ne “I Corinzi” San Paolo, perché appunto “scandalo per i Giudei e stoltezza per i Pagani”- perché preferivano evitare l’immagine dello strumento di tortura e supplizio patito da Cristo. Come accennato, nell’arte paleocristiana – con evidente influsso del pensiero classico – la croce non viene mai rappresentata e solo successivamente, gradatamente e saltuariamente la figura di Cristo crocifisso viene ad avere un profondo significato religioso di morte espiatoria e salvifica per l’umanità. Infatti nelle catacombe la croce viene sostituita con una T e ancora da un’ ancora crociata. La prima rappresentazione di una croce con Cristo crocifisso si trova presso il British Museum di Londra, in una tavoletta d’avorio, forse del IV secolo, e sulla porta lignea di Santa Sabina a Roma (V secolo), in cui viene chiaramente rappresentato Cristo in croce con ai lati i due ladroni. Solo con la “pace costantiniana” del 313 d.C., che consentì la libertà di culto anche ai cristiani, e successivamente con il ritrovamento della “vera croce” a opera di Sant’Elena madre di Costantino, la croce viene considerata uno strumento di redenzione. Fu poi con papa Pio V (1570) che l’immagine del crocifisso viene resa obbligatoria sull’altare. La “croce” – principale simbolo della fede cristiana – come immagine dipinta su tela o su tavola, di piccole o grandi dimensioni, o come pala d’altare o posta su asta ha larga diffusione fino ai giorni nostri.