PUÒ L’ODIO TENERCI IN VITA ESATTAMENTE COME L’AMORE?
Un libro disarmante e illuminante. Da più parti mi erano giunte sollecitazioni perché lo leggessi, fortunati voi che dovete ancora farlo. Henrik, il protagonista, un generale ormai più che settantenne e che da tempo si è ritirato nella sua dimora, un castello ai piedi dei Carpazi, riceve una lettera da parte di un suo vecchio amico, Konrad, che non vede da quarantun anni. Da giovani sono stati inseparabili, poi, quarantun anni prima del momento in cui inizia la narrazione, è accaduto qualcosa: Konrad è scappato e ha trascorso quei decenni in Estremo Oriente; Henrik non si è mosso dalla sua proprietà. Konrad nella lettera chiede di vederlo, pertanto viene organizzata una cena al castello, apparentemente il ritrovarsi di due vecchi amici, ma non è così: si tratta di una vera e propria resa dei conti. Entrambi hanno vissuto in attesa di quel momento, null’altro contava per loro, perché condividono un segreto che possiede una forza singolare e tutto converge verso un duello senza spade, una vendetta che affonda le radici in fatti avvenuti più di quarant’anni prima, l’ultimo giorno in cui si videro e cenarono insieme al castello, proprio nella stessa sala, assieme a Krisztina, la moglie di Henrik, morta da oltre trent’anni ma presente tra loro come un’ombra, un fantasma. Si sente la tensione salire, riga dopo riga, fino all’insostenibile: quale segreto condividono i due uomini e che ruolo ha avuto Krisztina? Queste domande più che incuriosire ossessionano il lettore che viene avvolto dalla suspense pagina dopo pagina, perché l’autore riesce ad intrecciare la narrazione e la riflessione in modo magistrale, ci fa credere che il momento della rivelazione sia arrivato e che quello che dirà sarà incredibile. Se pensate che questa sia una delle tante storie di amicizia e tradimento, vi assicuro che vi sbagliate. Mentre la prima parte si occupa di creare l’ambientazione della storia, di attirare e trascinare il lettore al limite dell’accettabile (oltre il quale il libro diventerebbe quasi noioso), all’improvviso c’è un cambio di registro e la narrazione si trasforma in un lunghissimo, bellissimo e dolorosissimo monologo. Il protagonista ripercorre gli anni della giovinezza e si sofferma su vicende non risolte che sono diventate la sua ragione di vita e lo hanno spinto ad andare avanti negli anni. Infatti è stata la speranza, ormai certezza, di poter un giorno affrontare Konrad che gli ha permesso di sopravvivere, incarnandosi nelle proprie ossessioni. Nella seconda parte le passioni che governano l’uomo sono le protagoniste, Márai riesce a sviscerare totalmente l’animo umano, le sensazioni, le emozioni, le pulsioni, e parla direttamente al cuore. Il generale è un uomo anziano, che ha avuto quarant’anni per riflettere sulla vita, sulla morte, sull’amore, sul destino, sul bene, sul male, e il risultato è che arriva a raccontarci concetti che sembrano inesprimibili a parole, descrivendo i legami tra gli uomini quasi come fossero qualcosa di ultraterreno. “Guardiamo in fondo ai nostri cuori: che cosa vi troviamo? Una passione che il tempo ha soltanto attutito senza riuscire a estinguerne le braci.” E la nostra vita è la risposta alle domande che ci poniamo nel corso di essa.
LE BRACI
di Sándor Márai
Ungheria 1942
In Italia Adelphi 1998