ROMA, LA NASCITA

IL 21 APRILE TRA STORIA, LEGGENDA E TRADIZIONE

Il Natale di Roma è ormai trascorso, è vero, ma solo pochi giorni dopo la festività della Santa Pasqua e non mi sembrava opportuno parlarne nell’imminenze di una festa religiosa così sentita.
Artenese di adozione ma romano di nascita, il giorno 21 aprile è un giorno importante per me e per la città che mi è rimasta nel cuore, nonostante sia molto cambiata in questi ultimi anni. La sua storia è conosciuta ormai da tutti ma queste mie poche righe vogliono essere un piccolo omaggio – che vorrei condividere – alla Città Eterna. Sono trascorsi ormai 2774 anni, più o meno, “ab Urbe condita”, dalla fondazione dell’Urbe. Studiosi, eruditi e storiografi vogliono il Natale di Roma nell’anno 814 a.C. (secondo Timeo), nel 729 (secondo Cincio Alimento) e nel 754 o 753 (secondo il romano Varrone). L’anno di fondazione di Roma è datato dalla leggenda o da versioni date da vari eruditi e storici. Per convenzione, ormai, la nascita della Città è collocata nel 753 il giorno 21 del mese di aprile. La nascita di questa Roma ad opera di Romolo è come una bella favola e non ci sono cascati né il grande storico Tito Livio né il grande Cicerone. Ma studi recenti, reperti archeologici e deduzioni scientifiche dicono ben altro. Certo, la tradizione, o meglio, la leggenda, così ci ha raccontato la storia della nascita di Roma. Una leggenda, una storia risalente al V secolo a.C., frutto anche di un utilizzo propagandistico dell’origine dell’Urbe. Una tradizione, comunque, che continua ad avere molti seguaci ma che nel contempo elenca anche molti detrattori. Ancora oggi sono molti i punti interrogativi ancora vivi sulla nascita della Città. La storia di Roma, però, non può prescindere dalla preistoria laziale e dagli antichissimi popoli che abitarono il territorio tra i colli Albani, il Tevere e il mare, gli “Aborigeni”, insediatisi sul colle Palatino fondando la città di “Valentia”. E ricorrendo alla tradizione e al mito si può parlare della città di “Saturnia”, costruita sul Campidoglio, dedicata al mitico e semidivino re Saturno. Fu questo un periodo felice e prospero grazie proprio a Saturno, ma anche agli altri mitici Giano, Pico e Fauno. E’ a questo punto della storia che si può agganciare un riferimento quanto mai plausibile ad una presenza greca sul territorio: Evandro. Proveniente dall’Arcadia-Pallantion, emigra e fonda una città sul Palatino con lo stesso nome. Con Evandro abbiamo un’altra illustre presenza “mitica”, Ercole, che si ferma a riposare al Foro Boario, ospite appunto di Evandro, dopo la cattura dei buoi di Gerione. La importanza della presenza di Ercole non si limita a ciò: egli offre sacrifici presso il Circo Massimo, inaugurando così l’era del culto dell’ “Ara Maxima” sul “nostro” territorio. Non solo, Ercole prima di ripartire per la Grecia, ospita a sua volta, secondo quanto riferito dal poeta Ovidio, Leucotea con il figlio Palemone, fuggiti da Tebe e approdati proprio nel luogo che vedrà la nascita di Roma. Altre presenze, certo non meno importanti, sono quella del greco Ulisse, l’eroe della guerra di Troia e poi del troiano Enea. A proposito di Enea, dalle origini divine perché figlio della dea Afrodite e del nobile troiano Anchise, al termine del suo peregrinare – anche per lui durante la fuga da Troia ci sono amori contrastati, incontri prestigiosi e premonizioni, un po’ come successe al greco Ulisse – l’eroe raggiunse con il padre e il figlio Ascanio o Iulo (da lui nascerà poi la gens Iulia ) le coste del Lazio (Latium in latino proviene dal verbo latere, cioè “rifugiarsi”, riferito al dio-re Saturno, lì rifugiatosi). E’ a questo punto che la storia si intreccia fortemente con la leggenda e con la nascita della città che prenderà il nome di Roma. Il re Latino dà in sposa a Enea la figlia Lavinia (da qui la fondazione di Lavinio? Ma la città odierna custodisce la più antica documentazione archeologica del culto tributato all’eroe troiano) dando inizio al nuovo popolo dei Latini, fusione tra gli indigeni e i nuovi arrivati troiani. Ma Lavinio è mai esistita? Lo sbarco dei troiani sul territorio è testimoniato dall’esistenza di un tumulo all’incirca del VII sec a. C., identificato con la tomba di Enea (morto durante una battaglia contro il re dei Rotuli, Turno, affiancato dagli Etruschi comandati da Mezenzio), nello stesso secolo dell’attestazione su una coppa da Vulci del nome di Laucie Mezentie, che richiama il nome del re etrusco e del figlio Lausus) e nel secolo successivo dai rapporti istauratisi tra “le aristocrazie del centro laziale e dell’etrusca città di Veio”. Il tempo trascorso tra i fatti raccontati da Omero e la tradizione troiana, con la presenza di Enea sulla costa laziale, sembrerebbe enorme, ma le testimonianze archeologiche e gli elementi finora descritti sembrano confermare che nomi e luoghi risalgano all’epoca orientalizzante troiana. Ci sono da aggiungere altri eventi fondamentali: il figlio di Enea, Ascanio, diventa poi il re dei Latini, riconosciuto valoroso combattente e per questo soprannominato Iulo (piccolo Giove), fonda la città di Alba Longa (la città madre di Roma e dislogata nei pressi dell’odierna Albano), dove in tempi successivi si insedieranno i re Silvii, discendenti di Enea e Lavinia e dove il nipote di Enea, Latino Silvio (della gens Silvia), una volta fondata la città di Bonvillae (vicino l’odierna Marino), vi regna per molti anni. Con il passare degli anni e delle generazioni, i Latini dominano il Lazio antico, colonizzano i colli Albani, raggiungono il Tevere e l’Aniene fino alla costa e uno dei discendenti di Enea e Lavinia, uno dei Silvii cioè, (una lista di 6 re pervenuta a noi), Silvio Proca (siamo intorno al novecento circa a.C.), ultimo re della lista, lascia come eredi due figli: Numitore e Amulio. A questo punto si intreccia la storia-leggenda-mito dei due gemelli, Romolo e Remo. E l’eroe Ulisse? Nel corso del suo peregrinare al termine della guerra di Ilio, sarebbe approdato nel Circeo dalla “maga” Circe, da cui avrebbe avuto due figli, Agrio (“selvaggio”) e Latino che “…lontano laggiù sulle isole sacre,, regnarono su tutti gli illustri Tirreni…” (secondo i versi di Esiodo). E’ pur vero che questi due momenti storici descritti non sono direttamente legati alla fondazione dell’Urbe, che avviene in tempi solo successivi, ma c’è da considerare che il nome della città palatina, di cui ho accennato prima, “Valentia”, ha proprio come significato “forza, vigore…” che poi è lo stesso significato in lingua greca di “Rhome”, cioè “Roma”. E di ciò c’è da tenere fortemente conto, tanto più che gli studi e le scoperte archeologiche degli ultimi anni hanno dimostrato che l’occupazione del territorio, dove sarebbe nata Roma, aveva visto gli insediamenti umani già tra il XVI e il XIV sec.a.C. e proprio sul Campidoglio e nel sottostante Foro, il cuore della successiva Urbe, attestati dal ritrovamento di resti di capanne e presenze umane: la nuova tecnica agricola, gli armamenti, la ceramica con dipinti “micenei” fanno pensare ad una presenza territoriale di insediamenti che ricordano molto da vicino il periodo civilizzato, felice e prospero sotto Evandro. Nell’antica Roma pastoral-bucolica ben s’inserisce il quadro poetico leggendario del “mitico” Romolo che traccia il solco che avrebbe delimitato la prima Urbe. Sono proprio gli studi archeologici ad attestare la costruzione di un primo agglomerato cittadino intorno all’VIII secolo a.C., attraverso l’associazione di due villaggi fortificati: uno sul Palatino e l’altro sul Quirinale. Nonostante la varietà delle versioni sul natale, quasi tutti i più autorevoli storiografi ed autori antichi romani concordano su un punto: quello che sia il mitico Romolo a tracciare il solco che avrebbe delimitato la prima città di Roma. Al contrario, studiosi greci del V e IV sec.a.C. ritengono che sia Enea, o suo figlio Romos, il fondatore di Roma. Addirittura fiabesco è il racconto-tradizione che vuole, appunto, che Romolo con il suo gemello Remo, figli in segreto della vestale Rea Silvia – figlia di Numitore, re di Alba Longa – e del dio Marte siano in qualche modo i fondatori dell’Urbe. Ad Amulio è toccato l’oro di Enea e le ricchezze della città. Desideroso del trono, durante una assenza di Numitore, prende il potere e uccide, durante una battuta di caccia, l’unico erede al trono, il figlio di Numitore. Ma i problemi non finiscono mai per Amulio: il primo è che l’oracolo ha predetto ad Amulio che sarà ucciso e il secondo è Rea Silvia, figlia di Numitore. Ma Amulio la fa diventare sacerdotessa di Vesta e, come tale, non può dare eredi a Numitore. A questo punto Amulio decide di porre i due gemelli, figli di Rea Silvia, dentro una cesta e di gettarli tra le acque del Tevere, fiume al confine settentrionale del territorio. La cesta, trasportata dalla corrente, s’arena in un’ansa del fiume, ai piedi del Germalo, pendio del Palatino, odierna Via dei Cerchi, ed è ritrovata da una “lupa” che, in una grotta protetta da un fico ruminale (da “rumis” cioè “mammella”), li allatta e li alleva per alcuni giorni, fino al momento in cui vengono adottati dal pastore Faustolo e da sua moglie. Senz’altro suggestiva l’immagine di una lupa che allatta i due gemelli Romolo e Remo, ma con più solide radici e più aderente alla realtà è quella che vorrebbe una “lupa”, e cioè una “meretrice”, ad allattare ed allevare i due piccoli (“lupa” è voce dotta latina e significa “prostituta”, e da ciò “lupanare” uguale a “postribolo”).
Non voglio tediare più di tanto con il racconto che segue: una volta divenuti grandi, la loro decisione di fondare una città là dove si erano miracolosamente salvati, la contesa sull’apparizione nel cielo azzurro degli avvoltoi sacri – messaggeri del volere divino – e sul loro numero di sei a Remo che si trova sull’Aventino e dei dodici apparsi a Romolo sul Palatino, la conseguente lite su chi avrebbe poi dovuto eseguire come vincitore il solco circolare – tracciato con un aratro di bronzo tirato da un toro e da una mucca bianchi – entro cui far sorgere la Città e quindi dare il nome ad essa e in seguito regnarci. Nessuno dei due vuole rinunciare ad essere il fondatore della nuova città né di poter dare il nome né di potervi regnare. La contesa se valga di più la precedenza della comparsa degli avvoltoi o il loro numero, oppure il salto – che la leggenda vuole sia stato compiuto per scherno da Remo – oltre il solco tracciato da Romolo, causa il fratricidio. Romolo uccide Remo e da solo fonda Roma il 21 aprile e ne diviene il primo re. L’esecuzione del tracciato ha significati simbolici e segue precise regole magiche. Il fossato tracciato sulla cima del colle sacro non è altro che l’utero materno, mentre il solco circolare allude alla figura perfetta; la mucca simboleggia la fertilità della donna, mentre il toro rappresenta la potenza maschile. Suggestiva poi è la tesi di alcuni storici moderni che ritengono che il nome Roma derivi dall’etrusco “ruma”, cioè “mammella”. Ciò avrebbe due spiegazioni plausibili: la prima fa riferimento al già citato fico ruminale a protezione della lupa e dei gemelli; la seconda si collegherebbe ai colli Palatino e Aventino, da dove Romolo e Remo avvistarono gli avvoltoi, colli apparsi ai due gemelli come due mammelle. Altro mistero avvolge la provenienza del nome della Città ed il suo significato. Alcuni studiosi antichi romani sostengono che derivi dal nome arcaico del Tevere, “Rumon o Rumen”, stessa radice del verbo “ruo” la cui traduzione è “scorro”: da ciò Roma significherebbe la “Città del fiume”. Altri storici greci fanno risalire il nome a quello di una delle donne al seguito di Enea, “Rome”, che avrebbe costretto l’eroe troiano a restare sul territorio latino, dove sarebbe sorta poi Roma, oppure a quello di due dei suoi figli “Romos” e “Rommylos”, divenuti poi fondatori della città che da loro avrebbe preso il nome. Senz’altro più suggestiva è la tesi di alcuni storici di età moderna che ritengono che il nome derivi dall’etrusco “ruma” e cioè “mammella”. Un’altra interpretazione vuole il nome derivato dalla parola greca “rhòme”, che significa “forza”; da ciò “città forte”. Non ultima è la versione – molto poetica ma debole è il suo fondamento e quindi poco plausibile – che vuole il nome originario dalla lettura da destra a sinistra di “amor”: tradizione che ha avuto molti estimatori fino ai nostri giorni. Dal 296 a.C., poi, venne collocata vicino al fico ruminale nel Foro una lupa bronzea di arte etrusca (forse del V sec.a.C.), che diventerà il simbolo di Roma, dello Stato, dell’Impero tutto. Sicuramente rimane ancora in dubbio l’identificazione della lupa etrusca con quella Capitolina presente al Museo dei Conservatori a Roma, come altrettanto incerta è la presenza dei due gemelli bronzei mentre succhiano latte dalle mammelle della lupa, aggiunti nel ‘500 e attribuiti a Guglielmo della Porta o al Pollaiolo o a Giacomo della Porta. 21 aprile dell’anno 753 a.C., ricorrenza discussa, avvolta nel mistero, dalla leggenda e dalla tradizione sì, ma che s’intreccia meravigliosamente alla storia. Recenti scavi archeologici dimostrano che sul Palatino ci sono resti di un muro molto simile al tracciato originale della Roma di Romolo. Ciò non dimostra, però, che Roma sia nata effettivamente il 21 aprile del 753 a.C.. Scavi e studi attestano, comunque, che molto di quanto tramandato attraverso la leggenda e il mito risulterebbe avvenuto. E’ la leggenda che s’intreccia con la storia, allora. E la storia di Roma è, comunque, questa.