LE RUBRICHE. UN LIBRO PER VOLTA. OGGI “LEGGIAMO” CAMBIAMO LA SCUOLA

Un atto di ribellione e una pratica collettiva

“Facciamo un gioco: di scuola parla solo chi ne sa qualcosa davvero”: Matteo Saudino e Chiara Foà insegnano da vent’anni, quindi hanno pieno diritto di parlarne; lui è professore di filosofia e storia, creatore del popolarissimo canale YouTube BarbaSophia, lei insegna materie letterarie nelle scuole secondarie di primo e secondo grado.
A cosa serve la scuola? È necessario partire da questa domanda e ancora: verso quale idea di persona, di relazioni umane e di società tendere? La scuola appare oggi un triste non luogo che reitera e in molti casi acuisce le tante miserie e ingiustizie di una realtà in cui i diritti di tutti sono soffocati dai privilegi di pochi e dove la vuota retorica della meritocrazia nasconde crescente marginalità, dispersione scolastica e insuccesso formativo. In vent’anni 5 riforme, inadeguate, contraddittorie e prive di una visione ma con un unico principio comune: la riduzione delle spese e il taglio delle risorse da investire. La crisi innescata dal Covid 19 ha esasperato problemi atavici: edifici fatiscenti, classi pollaio, dispersione scolastica, precariato endemico, carenza di laboratori; una scuola reificata, un po’ parcheggio, un po’ azienda e un po’ supermercato, una scuola sepolta da tonnellate di burocrazia in cui i docenti sono impiegati che trascorrono gran parte del tempo a compilare moduli e griglie di ogni sorta.
Foà e Saudino contrappongono alla scuola così ridotta, la scuola umanista, che faccia proprio il motto latino ripreso da Kant “Sapere Aude”: stimolare il coraggio di pensare è oggi la strada pedagogica che la scuola deve intraprendere per affrontare l’apatia di un nichilismo senza prospettive; è necessario che la scuola si occupi della singola persona, portatrice di bisogni specifici, ed è necessario che diventi un luogo in cui si respiri cultura (arte, teatro, cinema, pittura, scienze, musica) e in cui vi sia la centralità del dialogo e dell’ascolto. Occorre una didattica che implichi il superamento della lezione frontale come unica metodologia e che integri la lezione partecipata con laboratori e strumenti anche digitali, ricordando che il digitale è solo un mezzo e non certo un fine formativo. Occorre fare della scuola un luogo di bellezza: dall’architettura degli edifici (troppo spesso simili a ospedali o a carceri) al clima di umanità che si instaura nelle ore di lezione, la scuola deve essere un posto in cui gli studenti hanno voglia e desiderio di passare il loro tempo. Una scuola che educa al ragionamento critico, alla decodificazione della complessità e alla comprensione delle emozioni è una scuola che getta le basi per una società più libera, consapevole dei propri limiti e delle proprie possibilità, all’interno di una prospettiva in cui ogni essere umano non è mai solo un mezzo ma anche sempre un fine (Kant). Ogni bravo insegnante sa che la partita si gioca con i ragazzi più fragili: dietro a un 3 o a un 4 c’è sempre la certificazione dell’insuccesso di chi insegna e di chi studia, accomunati da un senso di inadeguatezza e inutilità che nel tempo produce demotivazione e rinuncia. Studenti e studentesse non dovrebbero mai sentire che il loro essere viene messo in discussione da un voto, ce lo ha insegnato don Milani. La scuola è lo spazio pubblico politico per eccellenza, lo studio deve lasciare agli studenti gli strumenti culturali per capire la complessità della realtà, per capire che partigiani e fascisti non si equivalgono, che Allende e Pinochet non stanno dalla stessa parte della Storia, così come chi salva le persone in mare e chi invece le lascia annegare. Insegnare è il mestiere politicamente più rivoluzionario di tutti perché può portare le allieve e gli allievi ad aver fame e sete di felicità, conoscenza, giustizia ed emancipazione. E anche gli insegnanti.