ANTONIO PENNACCHI IL FASCIOCOMUNISTA AMICO DEGLI ARTENESI

A tre mesi dalla scomparsa dello scrittore Premio Strega 2010 il ricordo di un amico…

È un’assenza che pesa quella di Antonio Pennacchi. A quasi tre mesi dalla sua scomparsa – a soli 71 anni d’età – mi mancano le sue telefonate, le chiacchierate interminabili, le immancabili risate. Ogni volta ci ritrovavamo sempre con lo stesso giudizio sulle cose e gli avvenimenti, anche quando all’inizio della conversazione sembrava che partissimo da presupposti diversi. Con Antonio ci si capiva come con pochi. Poco meno di un anno fa gli chiesi due righe per raccogliere in una pubblicazione privata quello che i miei amici pensavano di me. “La cosa che più mi colpì tanti anni fa, quando conobbi Luciano, fu – annotò Antonio – la sua totale disponibilità ad aprirsi e ad ascoltare tutto ciò che gli si parava innanzi. Ecco un uomo, pensai, che vuol conoscere sé stesso cercandolo negli altri…”. Le riporto perché sono le stesse parole che userei io per lui.
Per dirla tutta, personalmente ho conosciuto prima suo fratello Gianni, il “figlio unico” del film tratto da Il fasciocomunista, il romanzo che rese famoso il nome di Pennacchi. Gianni – purtroppo anche lui scomparso prematuramente nel 2009 per un banale incidente domestico – si era fatto conoscere prima: sessantottino di Latina nei giorni della contestazione, quindi giornalista di successo prima alla Stampa e poi al Giornale. Negli anni Novanta collaborava anche con un piccolo settimanale di cui ero il redattore capo e stringemmo subito amicizia. Qualche anno dopo, era il 2002, me lo ritrovo come inviato ad Artena per seguire la commemorazione di Bettino Craxi che organizzai insieme a mio fratello Stefano e Mauro Verro e che vedeva tra i relatori Stefania Craxi, Massimo Pini e Pietrangelo Buttafuoco. Gianni scrisse il suo articolo e venne con tutti noi in una simpatica cena a casa mia… Fu una bella serata – c’erano, tra i tanti, anche gli artenesi Franco Lucidi e Luigino Centofanti – e Gianni Pennacchi mi parlò delle strane parabole attraversate da lui e dal suo fratello minore, Antonio. Gianni che veniva dal ’68, era passato per i maoisti, ma poi era stato attratto dalla sirena craxiana e, in quel 2002, lavorava nel Giornale berlusconiano. Antonio, invece, “fascio” e missino da adolescente, era poi andato nel sindacato, la Cgil, e ormai si collocava a sinistra. Una famiglia italiana, anzi arcitaliana, pensai… Poi, nel 2003, un bel giorno mio fratello – entusiasta lettore de Il fasciocomunista – mi dice: perché non andiamo a Sabaudia dove in una manifestazione letteraria interviene Antonio Pennacchi? Andiamo, e dopo la conferenza ci mettiamo a parlare… e passano due ore senza che ce ne fossimo resi conto. Da allora è nata immediatamente un’amicizia straordinaria, di quelle indimenticabili. Antonio venne alla presentazione di Fascisti immaginari al Capranichetta: i relatori erano Walter Veltroni, Franco Cardini e Giampiero Mughini e lui sedeva umilmente tra il pubblico accanto al mio compianto amico Giano Accame. Da allora, ogni tanto, Antonio con la sua inseparabile moglie Ivana, prendeva la sua auto e, attraverso Cori e Giulianello, mi raggiungeva a Colle Siciliano…
Dopo una serie di incontri e chiacchierate, una sera in un pub di Latina – c’era anche Giordano Bruno Guerri – lo invitai a collaborare al quotidiano L’Indipendente, di cui ero vicedirettore. Non me lo aspettavo ma Antonio mi fu sempre riconoscente (come forse mai nessuno me ne è stato) per questo mio gesto. Nessuno, mi spiegò, gli aveva proposto prima – ma neanche dopo – un contratto per scrivere su un giornale. Da allora sono state decine e decine le volte che è venuto a casa mia ad Artena. Gli piaceva molto parlare e conversare con mio padre, Renato, perché ricordavano insieme la vita di fabbrica, che entrambi avevano conosciuto, ma anche i borghi di Latina che mio padre conosceva bene in quanto mio nonno aveva là la maggior parte degli alveari della sua azienda di apicoltura. Posso anche dire che alla scomparsa di papà, Antonio mi è stato vicino come pochi: volle trascorrere una serata di veglia funebre a casa mia, “come si faceva fino agli anni Settanta”, disse. La sua presenza mi confortò molto, e mi resi conto del suo profondo senso dell’amicizia. La sua presenza alle feste e ai momenti felici della famiglia era poi effervescente e unica, dal matrimonio di Stefano, in cui volle cantare e intonò goliardicamente alcune canzonacce… ai miei compleanni in cui doveva a suo modo celebrarmi. Una volta volle che lo accompagnassimo a Colleferro e Castellaccio per verificare i resti di quelle città industriali di fondazione. Infine, il suo rapporto con Artena e gli artenesi era di complicità, affetto e comprensione. Non caso in Canale Mussolini, il romanzo che gli fece vincere il Premio Strega nel 2010, nei ringraziamenti ci siamo io e Stefano, ma anche Vito Perugini, e nelle pagine dell’epopea non mancano i riferimenti agli artenesi che, insieme agli altri abitanti dei paesi del Lepini, vengono definiti “Apache”, dalla considerazione che al tempo ebbero i veneti, i friulani e i ferraresi della Pianura Pontina. Antonio, infine, non ebbe alcun problema a firmare la prefazione al primo romanzo di mia moglie Annalisa Terranova, Vittoria-Una storia degli anni Settanta, intervenendo simpaticamente anche a una delle presentazioni romane.
D’altronde, per ben tre volte Antonio ha presentato i suoi libri ad Artena, sempre nelle sale del Granaio Borghese e sempre in presenza di un pubblico numeroso. Una prima presentazione per Fascio e martello, Viaggio per le città del Duce (dialogammo con lui io, Mauro Verro e Umberto Croppi); un’altra per L’autobus di Stalin (con Vito Perugini e Umberto Croppi); la terza, infine, dopo lo Strega, per Canale Mussolini, quando io lo sollecitavo con le domande e il suo raccontare fu un grande show. Al termine dell’incontro i ragazzi delle scuole di Artena gli illustrarono alcuni disegni ispirati alla sua saga e dialogarono con lui. Antonio riscuoteva sempre simpatia e entusiasmo perché non ero lo scrittore formatosi nelle scuole di scrittura creativa o nei circoli esclusivi dei letterati. Lui scriveva come parlava e parlava come uno che, spontaneamente, sa tenere banco all’osteria, dal barbiere, in fabbrica o al bar sport. Antonio, per chi come noi è di paese, non poteva essere considerato che “uno di noi”. Studi da geometra, operaio a turni di notte alla Fulgorcavi, battaglie sindacali, iscrizione e frequenza quotidiana dell’università da quarantenne nel periodo di cassa integrazione, pubblicazione del primo libro già a 44 anni, articoli sul mensile Limes solo dopo l’uscita dei primi libri, prese di posizione pubbliche (anche politiche) sempre libere e controcorrente, vittoria allo Strega da outsider, fuori della rosa dei favoriti… Su tutto ha sempre prevalso la sua grande umanità, il suo straordinario senso dell’amicizia. Girare per Latina con lui era uno spasso, si fermava a parlare con tutti e tutti lo conoscevano. Anche perché Antonio non dimenticava mai di chiamare un amico appena poteva, mai lesinava i suoi consigli e il suo aiuto. Come pochi davvero.

Luciano Lanna