ZERO. SXM STORIA DI UN CAPOLAVORO DELLA MUSICA ITALIANA

“Il rap è qualcosa che fai, l’hip hop è qualcosa che vivi” – Ice One, “Numero Zero – Alle Origini dell’Hip Hop Italiano”.

Siamo nel 1993, una ventata di aria fresca dagli Stati Uniti investe lo stivale del continente europeo. La Loud Records pubblica quella che da molti verrà definita la pietra miliare dell’hip hop mondiale: “Enter The Wu-Tang (36 Chambers)” realizzato dal collettivo newyorkese Wu-Tang Clan. L’epoca era diversa, la diffusione ad ampio raggio di un disco musicale avveniva in un lasso di tempo molto esteso ma, nel caso che andremo a descrivere, è come se l’energia di quelle potenti liriche si fosse aggrappata velocemente allo spirito punk bolognese, senza che i bolognesi lo sapessero. Per capire la vera natura di questo fenomeno occorre fare un piccolo passo indietro.
In Italia, i primi collettivi hip hop si erano sviluppati alla fine degli anni ’80 nei centri sociali delle grandi realtà metropolitane. I primi breaker avevano fatto la loro comparsa nelle strade di Milano, schiere di writer avevano iniziato a “taggare” i muri delle principali stazioni ferroviarie e i primi MC, o più semplicemente rapper, incidevano su disco le prime rime in inglese. Inizialmente, si pensava che fare rap in italiano fosse impossibile per via della complessità della lingua ma questo “falso mito” è scomparso nel giro di poco tempo. Nel 1990, il collettivo romano Onda Rosse Posse rilascia l’EP autoprodotto “Batti Il Tuo Tempo, scritto interamente in italiano. Una rivelazione che spingerà tutti gli MC dello stivale a cambiare completamente la direzione dell’aspetto linguistico. Un anno dopo, dal centro sociale bolognese L’Isola Nel Kantiere, viene prodotto “Stop Al Panico” da Isola Posse All Stars. Un reportage, pieno di rabbia e voglia di riscatto, della Bologna di quegli anni caratterizzata dallo sgombero dei centri sociali e dal terrore diffuso dalla Banda della Uno Bianca. Il disco, distribuito dalla Century Vox, attira l’attenzione dei media e delle radio illuminando, non poco, l’aurea oscura che aveva contornato l’hip hop italiano dai suoi inizi.
Arriviamo alla fine del 1993 e i tempi erano maturi. Dalle ceneri di Isola Posse All Stars era nato un nuovo collettivo: Sangue Misto. Nella formazione ufficiale la penna di Neffa e Deda scalfiva le menti degli ascoltatori con liriche taglienti e le produzioni di DJ Gruff battevano sulle teste di tutta Italia come il martello degli dèi cantato qualche anno prima da Robert Plant. Alcune volte basta poco per entrare nella storia e nel loro caso sono bastati dodici brani incisi sulla pietra del loro mito. Nel 1994, la Century Vox rilascia “SxM”, il loro primo e ultimo album. Il clima di tensione che si percepisce già dal primo brano, che dà il titolo al disco, è angosciante e allo stesso tempo rivela all’ascoltatore l’intenzione del collettivo: “non siamo qui solo per far suonare il tuo impianto”. In quel periodo l’aria non era buona e Neffa e Deda, con la loro spada di rime, si presentano come due guerrieri all’interno di un contesto fatto di caos e continua indecisione sia dal punto di vista sociale che politico. La parola chiave è “suono” e l’imperativo è “ascolta” perché è rivolta a tutti i “cani sciolti nelle città che alzano il volume con il boom boom cha”. La critica rivolta all’uso di eroina, in quegli anni uno dei mali più sanguinosi della società, è presente in quasi tutti i brani del disco. “Fumo la mia porra e non mi pungo con la spada” è forse il verso più celebre di tutto l’album che evidenzia la distanza fra i consumatori di marijuana e i tossicodipendenti. Neffa conosceva già il potere benefico della cannabis nel 1994, al contrario di Maria Stella Gelmini che recentemente ha firmato un decreto che contrassegnerebbe la cannabis nel registro delle sostanze stupefacenti, equiparandola all’eroina. Avanguardia tematica ed espressiva che influenzerà tutti i dischi rap italiani negli anni successivi accompagnata dall’innovazione sonora che pone il lavoro allo stesso livello, se non al di sopra, di “Enter The Wu-Tang” e di tutti gli altri dischi usciti in quel periodo. Insomma, non definirlo un capolavoro sarebbe non solo riduttivo ma anche offensivo nei confronti di Neffa, Deda e DJ Gruff che con la loro rabbia, creatività e spontaneità hanno impresso un marchio nella storia della musica italiana. “SxM” è un disco che andrebbe studiato nei libri di storia contemporanea in tutte le università italiane. È una gemma unica che risiede nella mente e nel cuore di tutti gli appassionati di hip hop e non solo. È il numero zero del rap italiano che non avrà mai eguali.

Niccolò PECORARI