UN DISCO PER VOLTA Welcome to sky valley

IL TERZO ALBUM DEI KYUSS UNA PIETRA MILIARE NELLA STONER ROCK di Niccolò Pecorari

1993, Palm Desert, CA. La band Kyuss capitanata da John Garcia affiancato da Josh Homme, Scott Reeder e Brant Bjork, dopo il successo del loro secondo album “Blues For The Red Sun” e un brillante tour di supporto ai Metallica, strappa un contratto alla major Elektra Records. Nonostante tutta la musica metal di quel periodo facesse capo a Los Angeles, i Kyuss si erano fatti strada dal deserto della California fino a calcare i palchi più ambiti di tutta l’America del Nord. Il loro sound “sporco”, psichedelico, esaltato da un basso potente, definito dalla rivista Kerrang! “responsabile di una delle scosse di terremoto che ha colpito la California nell’ultimo periodo” (1994/1995), ha dato vita al genere stoner rock o desert rock.
Nel 1994, esce il disco “Welcome To Sky Valley”.
Diviso in tre parti, il disco si apre con il potente riff di “Gardenia” che per tutto il brano si fa strada accompagnato dal “bassone” di Scott Reeder, la ritmica pungente di Brant Bjork e la voce graffiante di John Garcia. Una delle migliori “opening track” di sempre, seguita dal brano strumentale “Asteroid” che mantiene egregiamente l’intensità sonora senza abbassare per nulla l’asticella. La prima parte del disco si conclude con il classico “Supa Scoopa and Mighty Scoop” in cui si può apprezzare un incredibile breakdown che incombe dopo tre minuti di pura potenza. “100°” inaugura la seconda parte del disco. In questa canzone si percepisce molto chiaramente l’influenza e l’ispirazione punk che ha sempre contraddistinto la band fin dai suoi inizi. Un’altra grande esplosione seguita dalla leggera e ipnotica “Space Cadet”, un brano acustico da ascoltare assolutamente quando si cammina per luoghi isolati dal caos urbano. “Demon Cleaner” chiude la seconda parte dell’album mantenendo l’atmosfera psichedelica instaurata con “Space Cadet” grazie al riff, quasi robotico, che si ripete per tutta la durata del brano con poche variazioni. “Odissey” apre la terza e ultima parte del long playing. L’intensità delle prime tre canzoni si ripresenta come un tornado grazie alla velocità e alla “cattiveria” della chitarra di Josh Homme e la voce di John Garcia, sostenuta da una favolosa linea di basso. Seguono “Conan Troutman”, in cavalcata, che ricorda per alcuni tratti i Metallica dei primi tre dischi, e “N.O” che presenta un groove dal carattere funk, accompagnato da un riff vicino al grunge che ha influenzato il sound delle band dei primi anni ’90. Il disco si chiude con la fantastica “Whitewater”, per la maggior parte strumentale, e la traccia nascosta e ironica “Lick Doo”.
Quello che ho appena descritto non rende affatto giustizia al capolavoro che la band californiana ha scolpito sulla pietra della storia del rock. Dimenticate tutto quello che ho detto, preparate una sigaretta speciale, o forse più di una, e ascoltate il disco dal primo all’ultimo brano mentre siete abbracciati dal calore della natura insieme a un vostro caro amico.

Niccolò PECORARI