SPECIALE. GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA

PARERI RACCOLTI DA CHIARA SABA E AMBRA CIPRIANI

La Giornata internazionale dei diritti della donna ricorre l’8 marzo di ogni anno per ricordare sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in ogni parte del mondo.
Viene associata alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne istituita il 17 dicembre 1999 e che cade ogni anno il 25 novembre. Viene celebrata negli Stati Uniti d’America a partire dal 1909, in alcuni paesi europei dal 1911 e in Italia dal 1922.
Spesso nell’accezione comune, nella stampa e in campo pubblicitario viene erroneamente definita come Festa della donna anche se è più corretto Giornata internazionale della donna poiché la motivazione non è la festa, ma la riflessione.
Fonti ONU invitano a operare affinché nel mondo si possa raggiungere una effettiva parità di genere entro il 2030.

LE DONNE AL DI SOPRA DI OGNI TIPO DI VIOLENZA di CHIARA SABA

“Educherò mio figlio, educherò il mio partner, insegnerò a mio fratello che significa stereotipo di genere, mentre continuerò a lavorare strenuamente per ricordarlo in primis a me stessa”

Abbiamo sentito le ragazze della generazione Z. Il loro pensiero sulla condizione femminile nel mondo contemporaneo

Per la giornata internazione della donna ho preparato una piccola intervista, contraddistinta da tre domande. Ho chiesto ad una decina di giovani donne di rispondere, con sincerità e apertura, agli argomenti che preferivano, anche senza andare nello specifico per farle sentire il più possibile a loro agio.
Lo scopo di questo articolo è di stimolare tutti i lettori al rispetto del prossimo e in particolare a proteggere le donne da ogni tipo di violenza, che sia fisica, verbale o psicologica.
Le domande sono le seguenti:
1) – Com’è essere una donna in questi anni? Cioè: Come ti senti? Come si comporta il prossimo nei tuoi confronti? Senti di soffrire di stereotipi comuni tipo: è la donna che deve cucinare, pulire, cucire, badare ai figli, fare la lavatrice, ecc?

2) – Ti senti libera e sicura quando cammini per strada da sola, o anche con le amiche? Hai mai subito abusi (anche meno gravi come catcalling) da parte del prossimo?

3) – Come ti senti davanti a notizie di donne violate, abusate o uccise, da estranei o familiari?

Le risposte sono state date da ragazze, alcune di loro hanno voluto rimanere anonime.

Erica, 20 anni
1) Purtroppo spesso ancora oggi in molti paesi, la donna è considerata come la persona che deve rimanere a casa a pulire, lavare, cucinare, e non ha diritto di partecipare attivamente alla vita del luogo in cui si trova, entrando ad esempio in politica, o semplicemente non può neanche esprimere il proprio parere riguardo determinate cose appartenenti alla sfera pubblica della città in cui vive. Questo ovviamente varia da paese a paese, da situazione a situazione, e fortunatamente io personalmente non soffro di stereotipi comuni e le persone che sono intorno a me mi trattano bene. Per questo motivo io mi sento felice di essere una donna, ma allo stesso tempo sono triste, perché sono consapevole che non tutte le donne vengono trattate bene, e molte portano ancora il grande peso di essere donne.
2) Quando sono da sola o con le mie amiche nel mio paese mi sento molto libera e sicura, ma già allontanandomi non lo sono più. Questo forse perché mi è capitato molto spesso di essere “vittima” di catcalling, da parte di ragazzi della mia età, ma anche più grandi, ad esempio di una trentina/quarantina d’anni; persone che non si limitavano solo a dire qualche parola, a fare qualche apprezzamento non gradevole, ma cominciavano anche a seguirmi, ad accostarsi con la macchina e a rallentare solo per stare al passo con me e continuare a dirmi determinate cose. Persone che fischiavano, che mi chiedevano se volevo passare la serata con loro, che si avvicinavano a me nonostante dicessi loro esplicitamente di allontanarsi. Mi è successo per la maggior parte delle volte quando ero in vacanza o durante serate in cui camminavo per strada tornando a casa da alcune feste, quindi con indosso vestitini, gonne e top. Dico questo perché spesso si giustificano le violenze dicendo “eh ma guarda lei com’era vestita, se l’è cercata”, ma io credo che se, voglio indossare gonne o vestitini, devo essere libera di farlo, senza avere paura poi di dover tornare a casa a piedi e magari subire abusi, anche fosse solo catcalling.

A., 22 anni
1) Essere donna in questi anni è ambiguo: da una parte c’è la società che ti dice “sei libera, ora non c’è più bisogno di essere autorizzata dal maschile per essere te stessa”; dall’altra parte la società civile non garantisce diritti fondamentali quali l’accesso all’aborto sicuro. Il comportamento del prossimo dipende dalle situazioni e dalle personalità delle persone, poi sta a noi donne riconoscerci 2) Sì, soffro gli stereotipi di genere. A casa, a lavoro e quando cammino sola per strada. Pulire sembra la mansione più importante per una femmina, anche giovane e magari impegnata in altre attività. Ho subito comportamenti abusanti da uomini non consapevoli del dolore che possono provocare. E per strada, quando cala il sole, il mondo diventa un posto più pericoloso: anche uno sguardo può provocare paura, ma la consapevolezza dell’appartenenza a questo mondo è più forte del sessismo. 3) Mi sento arrabbiata, non capisco come sia possibile non arginare il fenomeno e non pensare a delle alternative (magari educative/culturali) per educare gli uomini. Concentrarsi sul contesto culturale delle vittime e degli assassini dovrebbe essere la prerogativa principale delle istituzioni, lì si può e si deve intervenire per comprendere il fenomeno. Che non è solamente omicidio, ma un linguaggio generale di violenza in cui si riflettono i vissuti delle persone.
Indagare il perché è più importante del come, e non un perché “lei lo ha lasciato e si è portata via i figli”. Alla fine la trasformazione dei modelli culturali vive in un tempo più lungo della semplice abrogazione di una legge (penso a quella sul delitto d’onore).

M., 20 anni –

1) Essere donna oggi è diverso da anni fa. C’è più libertà e parità di genere. Le lotte delle nostre antenate hanno portato frutti e ciò che siamo adesso lo dobbiamo a loro. Tutto molto bello se non fosse che il patriarcato è un eritema che permane sulla nostra pelle. Si, abbiamo fatto passi avanti ma ci vuole tempo prima di distruggere un’istituzione sociale che ha avuto dominio per così tanti anni. Gli stereotipi ancora ci sono con battutine sulla presunta superiorità degli uomini o luoghi comuni. Mi sembra che a volte ci danno ragione per darci un contentino:” si ma avete i nostri stessi diritti tranquille” Tranquilla nulla perché gli uomini hanno ancora molti più vantaggi di noi: sia a livello lavorativo, sociale o sessuale. 3) Davanti a notizie di abusi verbali o fisici o psicologici rimango disgustata è arrabbiata perché passano sempre sotto gamba.
Greta, 26 anni
1) Una delle affermazioni più inutili che mi sono state fatte nel corso della mia vita sicuramente è stata “sei femmina devi saper cucinare”, ad affermazioni del genere si comprende quanto ancora nel 2023 ci siano degli stereotipi sulla donna così sbagliati e antichi, come se la donna a prescindere da tutto debba cucinare e pulire, l’uomo invece in quanto uomo deve lavorare e portare il pane a casa. Penso che la donna non debba essere più vista come una casalinga senza aspirazioni nella vita, deve inseguire i suoi sogni proprio come fanno gli uomini e se vuole cucinare lo fa perché le piace e non perché glielo impone la società, se invece convive con un uomo è giusto che entrambi si dividano i ruoli da compiere in casa. 2) Fortunatamente non ho mai subìto abusi. Sicuramente mi è capitato più volte, magari passeggiando per strada con qualche amica di aver subìto catcalling, diciamo che non mi è mai capitato mentre ero da sola quindi di conseguenza non mi sono mai sentita impaurita o preoccupata. Però sicuramente non sono cose che fanno piacere, le trovo di cattivo gusto soprattutto quando si fanno commenti un po’ troppo pesanti solo perché magari si ha una gonna corta. E’ giusto avere la libertà di vestirsi come più ci piace senza pensare a possibili commenti di maschi retrogradi. Gli uomini dovrebbero imparare a vivere e pensare a come si sentirebbero le loro madri o sorelle se qualcun altro facesse loro gli stessi commenti.

A., 22 anni
1) Essere una donna è oramai una sorta di “condizione minoritaria”, nonostante i progressi dovuti all’emancipazione, la presa di coscienza e la consapevolezza acquisita attraverso lotte di causa e contestazioni, lo svincolo dagli stereotipi comuni e la fine degli abusi che questi comportano sembra ancora un traguardo lontano. In quanto donne siamo chiamate ad essere qualcosa che, nella stragrande maggioranza dei casi, non ha nulla a che vedere con la nostra natura. L’educazione e la formazione che fin da piccole acquisiamo gioca un ruolo cruciale, induce spesso a considerarci come esseri relegati a determinati metri di giudizio, ciò limita notevolmente la scoperta e lo sviluppo delle proprie potenzialità, oltre che la semplice libertà di scegliere chi voler essere. Non ci sono parole adatte a spiegare la sensazione di impotenza che suscita la realizzazione di non avere una voce che valga la pena di essere ascoltata quando, davanti ad affermazioni come “la donna deve cucinare, pulire, occuparsi della propria casa e della famiglia perché questo è il suo compito”, ci battiamo invano per spiegare e per far sì che si prenda atto del fatto che non è così che devono andare le cose, che in quanto persone, prima ancora che donne, abbiamo il diritto di non essere considerate inferiori, deboli, meno capaci, inadatte, predestinate a subordinare ad una figura maschile e che soprattutto abbiamo il diritto di decidere cosa fare della nostra vita e di costruirci una nostra identità che prescinde da quello che convenzionalmente si crede o viene stabilito sulle basi di un niente. 2) Camminare per strada da sole o in compagnia delle proprie amiche e sentirsi incolumi equivale ad una sorta di utopia, il pensiero che da un momento all’altro possa accadere qualcosa di spiacevole è sempre presente, tanto che quel sentimento di quasi terrore e di allerta costante entra inconsapevolmente a far parte della propria indole. Statisticamente almeno una volta nella vita tutte le donne hanno subito abusi o catcalling, molto spesso ci sentiamo dire che è normale sentirsi così dal momento che “siete donne, dovete aspettarvelo”, questo non è forse contribuire a legittimare abusi e catcalling? Invece di normalizzare atti simili e mettere le donne in posizione di dover accettare passivamente queste condizioni alienanti, di dover rinunciare anche a sentirsi al sicuro e all’essere rispettate, sarebbe cosa giusta educare alla civiltà e al senso umano. L’assurdità risiede nella necessità che sorge di dover far comprendere quanto tutto questo sia sbagliato, non dovrebbe essere necessario specificare che le donne non sono oggetti e che, dunque, violare e ledere le sue libertà di essere umano, sotto ogni punto di vista e in qualsiasi manifestazione, è inaccettabile

A., 20 anni
1) Essere donna in questo momento storico e nel luogo in cui vivo mi fa sentire fortunata, davvero tanto fortunata. Se io sono qui adesso e posso fare quello che faccio liberamente è perché tantissime donne sono vissute prima di me e si sono battute, in determinati casi rischiando anche la vita, per avere dei diritti che agli uomini non sono stati MAI negati. E anche gli uomini sono nati dalle donne. Quindi si, mi sento fortunata. Gli stereotipi purtroppo sono una piaga di cui ci si libera difficilmente, perché anche nelle persone della mia età, maschi soprattutto, ho notato degli stereotipi “inconsapevoli”, nel senso: essere donna= essere fragile, non avere forza fisica, non saper fare determinate cose bene quanto un uomo… e via dicendo 2) Girando per strada da sola/ con amiche mi sento libera, ma non mi sentirò mai completamente libera: ci sarà sempre almeno una piccola percentuale di ansia causata dall’eventualità che qualcosa di spiacevole possa succedere, soprattutto di sera. Ho subito catcalling uno sproposito di volte… anche signori che mi fermavano per strada, una volta un ragazzo ubriaco si è letteralmente avvinghiato addosso ad una mia amica. 3) Posso sentirmi solo disgustata e immensamente triste. Però penso che il problema sia alla base: queste notizie sono tantissime, mi chiedo, l’umanità, se c’è mai stata, dove è finita ? Cosa vi ha insegnato questa vita, ad ammazzare, massacrare, abusare, picchiare, distruggere coloro che vi danno la vita? Sento troppe persone dire che finalmente la parità di genere è stata raggiunta, ma mi sembra proprio che siamo molto lontani da questo obiettivo.

Sara Federico, 22 anni
1) Sento che questi stereotipi non sono quasi per niente andati a svanire. A casa mia, il modo in cui la figlia femmina e il figlio maschio vengono trattati è molto diverso, per quanto riguarda la libertà, le uscite, i compiti, che sono per l’uomo i lavori di forza e per la donna i lavori in cucina e di pulizia. 2) Quando cammino per strada non mi sento al sicuro, appena metto una gonna leggermente più corta, sento che sono minacciata, scoperta, nuda agli occhi di chi mi guarda. Vengo spesso fischiata o richiamata con frasi del tipo: “che bella che sei”, “bella ragazza”, “lo vuoi il mio numero?”.
3) Ho paura per me, ho paura che la prossima sarò io, se quel giorno la mia gonna sarà più corta del solito e gli altri diranno di me quello che dicono per tutte le abusate: “se l’è meritato, era vestita in quel modo x”. Ho paura di incontrare la persona sbagliata, che oltre gli apprezzamenti passi ad altro, ho paura di non riuscire a scappare, di non liberarmi. Ho paura di essere soffocata.

Francesca Romana Mariani, 23 anni

1) Mi piace essere donna, per quanto non debba essere fonte di identificazione. Ho la fortuna d’esser trattata al pari di ogni altra donna o uomo, almeno per quanto riguarda i miei diritti da essere umano. Mi è successo di essere relegata a determinate mansioni più adatte “alle donne” in contesti lavorativi (passare lo straccio, spazzare), però spesso era perchè non possedevo abbastanza forza fisica da occuparmi di altro, è l’unica evenienza in cui mi è capitato.
2) Purtroppo no, non sempre mi sento sicura a camminare per strada da sola, tantomeno di notte, infatti raramente lo faccio. Mi è capitato spesso di dover adoperare tattiche “anti-rapimento” (dal più significativo acquistare spray al peperoncino al meno appariscente ma comunque salva vita ‘camminare sempre sul lato esterno del marciapiede’). Sono stata oggetto di svariati schiamazzi per strada da quando ho 13 anni.
3) Sono ovviamente logorata dall’interno nel sentire notizie di donne maltrattate, uccise,stuprate. In qualche modo sono “vicine” a me in quanto sento che sarei potuta essere Io nella loro stessa situazione. Specialmente nell’ultimo periodo escono sempre più storie di questo genere; non sono spaventata per me, ma lo sono per molte giovani ragazze, anche adolescenti, che non hanno una guida femminile attendibile nella loro vita (tanto meno una maschile) e per questo sono più a rischio di cadere preda di questi rapporti, non avendone avuto un esempio positivo durante la crescita. Cerco comunque di non mettere questo genere di notizie su un piedistallo e di dare importanza ad ogni vita umana uccisa o maltrattata, fisicamente o psicologicamente, e di avere sempre gli occhi e orecchie aperte in caso una delle mie amiche/i o conoscenti si trovi in situazioni simili.

Ginevra Aicardi, 24 anni
1) Essere una donna nel 2023 significa poter accedere ad ogni posizione professionale ed avere pari opportunità rispetto ad un uomo; in linea teorica, perché in pratica si finisce per selezionare, consapevolmente o meno, più candidati uomini per le posizioni di potere, sulla base di un bias cognitivo e nessuna motivazione razionalmente ponderata. Significa che esplicitamente ci dicono che siamo ugualmente valide, che la nostra opinione ha egual peso rispetto a quella di un uomo, ma che nella pratica della vita finiamo per subire i lasciti di una lunga storia, che implicitamente si perpetra nella società oltre ogni dichiarazione consapevole. Anche nella famiglia più paritaria o nella coppia più emancipata i lavori di cura sono, in larga misura, a carico delle donne. Ancora oggi è il corpo femminile ad essere sfruttato nel marketing o strumentalizzato dai media (come anche dai social). 2) Certo che ho subìto catcalling e molestie, quasi in ogni occasione in cui ho scelto di mostrare di più il mio corpo. Allora ho smesso di scoprire parti di esso e accondisceso alla natura di questo senso comune, che resiste strenuamente al cambiamento. Ma non intendo accondiscendere alla mia libertà: di muovermi, di uscire la sera (da sola o in compagnia di altre donne), di esprimere quello che penso.
3) Ho indossato fascette e guantoni ed ho imparato la tecnica per difendermi. Pugni, calci, gomitate, che se pure non saranno forti di una potenza testosteronica, possono essere fulminei e darmi il tempo di fuggire veloce in caso di necessità. Non intendo farmi spaventare, non intendo arretrare. Anzi avanzerò, avanzeremo, passo per passo senza scoraggiarci. Inciterò le persone intorno a me a notare quelle assunzioni implicite che portano a resistere a questo cambiamento. Educherò mio figlio, educherò il mio partner, insegnerò a mio fratello che significa stereotipo di genere, mentre continuerò a lavorare strenuamente per ricordarlo in primis a me stessa.

STORIE SCRITTE NEI CORPI E NELLE MENTI DELLE DONNE E NON CERTO SULLA CARTA di AMBRA CIPRIANI

Abbiamo raccolto i pareri di quattro Donne di Artena: Eleonora Genevois, Maria Di Re, Carlotta Bilato e Tilde Stirpe

Questi versi sono della scrittrice indiana Amrita Pritam (1919-2005),e sono il titolo perfetto per le storie delle donne che ho voluto intervistare per capire se la giornata dell’8 marzo ha ancora un suo significato, perchè negli anni questa data ha perso gran parte del vissuto sociale in base al quale era stata istituita, trasformandosi in colossale merchandising. Ho pensato a donne che si erano distinte in vari campi, in modi diversi e ambiti diversi, mettendosi in gioco, affrontando battaglie per esprimere al massimo le loro potenzialità,realizzare i loro sogni, lottando contro pregiudizi,preconcetti,ingiustizie.
Mi sono trovata così ad avere tra le mani storie vissute sulla propria pelle, frammenti di vita scolpiti nei loro cuori, esperienze, affanni, dolori, gioie, ma mai, ripeto mai, rimpianti, per quanto possa essere stato alto il prezzo da pagare.Tutte avevano la stessa ferrea convinzione: Lo rifarei.
E così incontro Eleonora Genevois,la mamma di Ginevra,la ragazza che Artena ha idealmente adottato, tanto da raggiungere,con una colletta che ha visto partecipare tutto il paese, in soli undici giorni la somma necessaria per un delicatissimo intervento.
Eleonora mi ha inviato il racconto toccante della sua esperienza,scritto col cuore,condividendo gli affanni,i timori,le speranze,tutto il corollario di emozioni che hanno accompagnato per anni la vita sua e della sua famiglia.
Nel nostro incontro alcune sue affermazioni mi hanno colpito, perchè riassumono il percorso che ha dovuto affrontare, le motivazioni, e la forza che la ha sostenuta: “Non mollare mai di fronte alla ‘non diagnosi’,perchè senza diagnosi non si può partire con le terapie giuste.Insistere per avere una diagnosi,specie di fronte a malattie etichettate come quasi esclusivamente femminili,e quindi liquidate con: sei donna devi sopportare,siamo nate per soffrire. E poi il peso di doversi prendere la responsabilità di decidere in situazioni che difficilmente un uomo può gestire”.
Ma ecco la storia di Eleonora e di Ginevra.

I SUPEREROI NON ESISTONO
Ginevra nasce di soli 630 grammi nel 2004, i suoi compagni dentro l’asettica incubatrice, non sono le braccia di mamma Eleonora e lo sguardo tenero di papà Roberto, ma elettrodi tubi ,cateteri venosi. La sua musica non è il sonaglietto della culla di un neonato ,ma lo scadenzare del suono costante del suo battito e di quello della sua compagna di TIN (terapia intensiva neonatale). I sapori che sente non sono il latte di mamma ma l’odore del tubo di plastica che la alimenta.
Per mesi Ginevra ha combattuto la sua battaglia per la sopravvivenza davanti agli occhi, senza più
lacrime dei suoi genitori, che hanno visto molti compagni di quel viaggio non arrivare alla fine.
Quando Ginevra rientra a casa nel suo paese Artena, in una calda giornata di settembre, rientra con
un po’ di peso in più, la capacità di respirare e mangiare ,con la testa rasata e tante cicatrici .Questi i ricordi che si porta dentro e fuori della sua nascita.
A volte penso che forse questa battaglia iniziale l’ha resa più forte o forse più debole ma quello che
posso dire che purtroppo non è stata l’unica.
Ad Artena tutti sanno chi è Ginevra, cosa ha Ginevra, cosa ha fatto Ginevra, ma non perché il paese è piccolo e tutti sanno tutto di tutti, ma perchè io, la sua mamma, non avevo più modo di aiutarla e quindi ho cercato l’aiuto di tutto il paese condividendo la sua storia.
Vorrei raccontare che Ginevra fosse così nota per un successo scolastico o sportivo o per esempio per come canta, ma non è così .
Tutto inizia 5 anni fa quando Ginevra aveva solo 13 anni era una bella ragazzina riccia ,bionda allegra e sensibile che si affacciava all’adolescenza. Era una mattina di Novembre ed inizia ad avere dei dolori al basso ventre e poi alla gamba da allora non sono più passati. Ovviamente abbiamo fatto
tutti i controlli del caso ci abbiamo messo quasi 5 anni e 6 interventi chirurgici e ho perso il conto
di quante visite mediche, ricoveri, analisi, tac, risonanze, terapie e fisioterapie, per avere una diagnosi.
Non so quante volte mi è stato detto che poteva essere un problema psicologico, di dolori femminili
ho smesso di contare le volte cui è stato messo in dubbio ciò che raccontavo e sono stata appellata come madre esagerata, stressata.
Il difficile è stato rimanere salde, rimanere unite, cercare di far sorridere la persona che soffre, annientare quasi se stessi e lasciare di sè solo quella parte, la parte di Madre.
Difficile è stato non disperarsi nel vedere la sofferenza e l’impossibilità del proprio figlio a compiere anche i gesti più semplici della vita quotidiana. Difficile è stato passare le notti su Google pensando di essere l’unica veramente interessata a trovare una soluzione e conoscere tante persone con malattie simili o peggiori che come te sono sole e passano le loro notti chattare con sconosciuti alla ricerca del medico o della terapia giusta.
Il difficile è comprendere i propri limiti, essere consapevoli di aver perso tante cose! come essere
una moglie, essere madre per l’altra figlia, essere un amica, essere una brava professionista.
L’impossibile è superare i rimorsi, il senso di colpa di decidere per un’altra persona e non essere certi di prendere la decisone giusta.
Quando un anno fa, dopo lungo peregrinare in tutta Italia siamo arrivate in Svizzera, ormai Ginevra era dipendente dalla morfina e stava su una sedia a rotelle, tutto sembrava però prendere finalmente la strada giusta magicamente il Professore fece la sua diagnosi: radicolopatia sacrale S1 L5 da compressione vascolare, operazione fissata a Marzo 2022 costo insopportabile per noi visto anche che negli ultimi anni avevamo praticamente dilapidato tutti nostri risparmi per cure, visite, terapie e viaggi.
E’ stato in quel momento che ho sotterrato alte parti di me come l’orgoglio e la riservatezza e ho imparato a chiedere aiuto e ho deciso di avviare la raccolta fondi. L’unica cosa meravigliosa e sorprendente che rimane di questa storia che da allora non è solo la storia di Ginevra ma la storia di Ginevra cittadina di Artena.
Oggi vorrei dire che Ginevra sta bene, vorrei, ma non posso dirlo !nonostante l’intervento abbia avuto successo e la causa sia stata rimossa i danni provocati da una diagnosi tardiva permangono sotto forma di dolori spesso insopportabili e debilitanti.
Niente lieto fine per la coraggiosa Ginevra! Niente mamma “supereroe” che guarisce miracolosamente la figlia !
Si continua a combattere piccole battaglie quotidiane come rendere consapevoli le persone dell’esistenza di malattie dette invisibili, spesso al femminile come quella di Ginevra e tante altre (dolore neuropatico, fibromialgia, endometriosi .Si continua a sperare io continuo ad essere solo la mamma di Ginevra che mi guarda incredula mentre le dico che i supereroi non esistono, ma solo combattenti come NOI.
Eleonora Genevois

Pensando alla storia di Eleonora,volevo intitolarla “MADRE CORAGGIO”,ma dopo aver sentito Maria Di Re, questo titolo spetta anche a lei ex aequo.
Tutti ad Artena conoscono Maria, la sua voce, i suoi successi: ha cantato in TV per il concerto di Capodanno al Quirinale, nel 1999 nella Messa cantata in piazza S.Pietro. Ha cantato con Cecilia Gasdia; all’Arena di Verona sotto la direzione del maestro Ennio Moricone, col quale ha collaborato anche per alcune colonne sonore, e poi sempre con lui una serie di concerti , a Milano, Bologna, Cracovia, al Vaticano, nell’aula Paolo VI, a Torino, al Palazzo reale di Venaria, poi la registrazione del musical The Mission, e i vari tour, Firenze, Svizzera, Parma, Francia, Mantova, ecc.
E ancora la registrazione delle parti corali del musical Giulietta e Romeo di Riccardo Cocciante. Poi, nel 2008 a Piazza del Popolo concerto con Andrea Bocelli e Placido Domingo, nel 2011 concerto del primo maggio a piazza S.Giovanni, ecc.
Insomma un curriculum che ho cercato di riassumere,veramente tanti successi per la nostra Maria. Anche a lei faccio qualche domanda sulla sua vita, come ha scoperto la passione per il canto, se ha dovuto rinunciare a qualcosa se il fatto di essere donna ha intralciato in qualche modo la sua carriera, e come ha conciliato famiglia e carriera. Ecco il suo racconto

MARIA, UN’ALTRA MADRE CORAGGIO
Ero una mamma giovane, ero incinta quando ho finito gli esami al conservatorio. La musica è stata una mia passione fin da bambina, negli anni ’70 ero stata selezionata per lo Zecchino d’Oro (segno del destino?), ma non ho potuto partecipare perchè mia madre lavorava e non mi poteva seguire. Ho cominciato a studiare col Maestro Talone, dopo la III media ho frequentato il Conservatorio, diplomandomi in violino e pianoforte con il Maestro Roberto Pregadio. Poi mi sono diplomata in canto lirico col maestro Valerio Paperi di S .Cecilia. Devo dire che sono stata aiutata dai miei, ed essendomi sposata giovane anche da mio marito Piero. Comunque penso che per conciliare carriera e famiglia basta sapersi organizzare. A volte essere donna è uno svantaggio, perchè se c’è qualche problema in famiglia, la donna facendosene carico, può essere momentaneamente indisponibile, e allora è facile che le vengano preferiti uomini o ragazze senza vincoli o impegni familiari.
Mi sento realizzata, anche come insegnante: Alessandro La Cava lo ho cresciuto musicalmente io, e ora due mie allieve sono alla Cantoria del Teatro dell’Opera, un’altra è approdata a The Voice, e anche mia figlia Chiara canta nella Jumpin’Jive Orchestra.
Nel 2010 mi aspettava una prova durissima, a mia figlia Francesca,allora ventenne, viene diagnosticato un condrosarcoma alla base cranica, il mio occhio attento di madre mi aveva fatto cogliere i sintomi che mi hanno subito allarmato. Ho trovato la forza di affrontare tutto con apparente serenità, e siamo andate ad Heidelberg per l’intervento, lasciando da parte supplenze e tutto il resto, ma una mamma rinuncia alla carriera di fronte alla vita dei figli. Non ho nessun rimpianto, lo rifarei mille volte. Ora Francesca ha 32 anni, ha adottato una bimba bellissima,e mi dice: “Un giorno racconterò a mia figlia della sua adozione, con la stessa serenità con cui mi parlavi della mia malattia, per sdrammatizzare, come nel capolavoro di Benigni La vita è bella”.
Maria Di Re

Maria, un’altra madre coraggio…anche questa una storia scritta nel cuore e nella mente.

La prima impressione che si ha di Carlotta è quella di avere di fronte una delicata libellula, che volteggia sulle scarpine da ballo, poi ti rendi conto che ha ali di acciaio, sorrette da forza di volontà, tenacia, passione. E senza dubbio se non fosse stato così il suo sogno,”100 % Danza” non si sarebbe realizzato.
Anche a lei rivolgo le solite domande: come è nata questa sua passione, dove, perchè, e se le sue scelte hanno comportato sacrifici,rinunce,in cambio di quali soddisfazioni. Entrando nella sua scuola di danza ammetto che mi sono stupita nel vedere mensole, ripiani, scaffali, pieni di coppe, trofei, testimonianze dei suoi successi. Impossibile contarli e citarli tutti.
Ecco la sua storia,scritta non con la penna, ma con le scarpette.

IL BALLO NEL CUORE

La mia passione per il ballo è nata relativamente tardi, verso i 12 anni, prima ero calciatrice e praticavo il nuoto, poi per un problema medico sopravvenuto, l’otorino mi sconsigliò lo sport in acqua, e allora ho dovuto abbandonare il nuoto. Mia sorella a quel tempo faceva già danza, e così fui invogliata a seguire il suo esempio. I primi due mesi sono stata malissimo, in crisi perchè ero in una classe con bimbe di quattro anni! Ma ho tenuto duro, e dopo due anni ho capito che avevo una predisposizione per la musica e sopratutto il ritmo. Per otto anni ho fatto danza classica poi moderna e hip hop. Nel 1992 la prima scarpetta: sono 31 anni di danza.
Attualmente il mio stile è il moderno (es.Steve Lachance, Kledy, ecc.).
All’inizio per fortuna avevo mia mamma a sostenermi, sia come approccio, che economicamente; quando frequentavo la scuola di ballo di Novetta Padovana, mi facevo 5 kilometri in bicicletta, sole, pioggia, neve, vento, per seguire le lezioni, poi coi primi soldi guadagnati d’estate nei lavoretti nei supermercati, ho potuto comprare il motorino: frequentavo le scuole medie!
Rinunce? Certo…compleanni…feste…vacanze…ma d’altra parte se insegui un sogno e ti poni degli obiettivi, ti poni anche priorità.
Il caso mi ha portato ad Artena, infatti in uno dei miei tanti spostamenti per lavoro, a Milano Malpensa ho conosciuto mio marito, artenese, ed eccomi qui. All’inizio è stato difficile conciliare scuola di ballo e professione, ma adesso ho raggiunto un mio equilibrio. La mia soddisfazione più grande? Tantissime, essere ancora qui nella mia scuola, dopo 12 anni, dopo la pandemia, e vedere i successi dei miei allievi, e l’aver fatto della mia passione il mio lavoro. E poi aver potuto ballare al Sistina,al teatro Olimpico, all’Ambra Jovinelli con coreografi di fama mondiale. Tra i riconoscimenti, in particolare nel 2007 ho avuto il LINGOTTINO D’ORO, premio per “arte,sport e cultura” alla presenza dell’allora Presidente della Regione Lazio Zingaretti. Per non parlare della gioia nel preparare alcune ragazze della mia scuola per audizioni all’estero.
Nel 2021 voglio ricordare una menzione speciale e un premio come migliore coreografia per “Aurora”…a cui tengo molto, per motivi strettamente personali.
La mia scuola, che si trova in Viale I Maggio, accoglie per la danza classica bambini dai due anni e mezzo, purtroppo vecchi pregiudizi fanno sì che siano in maggior parte femminucce! Per loro c’è il gioca danza “propedeutica alla danza classica” e danza accademica, seguendo il metodo di Agrippina Vaganova, il metodo con cui ho studiato anche io. Poi per i piu grandi danza moderna,contemporanea, pilates, stretching, tonificazione. Ma a tutti i miei allievi cerco di far capire che la danza va vista seriamente, come lavoro, non come piano B.
Come nascono le mie coreografie? Dipende, mi deve ispirare la musica e allora mi ci chiudo ad ascoltarla, per vedere se si crea un “viaggio”. Oppure nascono da qualcosa vissuto, sentito, e allora vado alla ricerca della musica che possa adattarcisi,come nel caso di “Aurora”
Carlotta Bilato
Grazie Carlotta per l’intervista, anche per te, come nelle altre storie che ho raccolto amore, passione, tenacia sono la chiave di volta. Evidentemente la nostra forza. Delle donne. Di tutte le donne.
Qualche anno fa una ragazza di Artena, Tilde Stirpe, amante della natura e dotata di senso artistico (proviene infatti dall’Istituto d’Arte), che aveva lavorato nell’ambito della moda, con attività avviate anche nel settore dell’acconciatura, decise con l’ex marito Mauro di cambiare stile di vita, per immergersi in un contesto futuristico, realizzando il sogno di trasferirsi in un angolo di mondo a contatto con la natura.
Nasce così “CASA TILDE”, uno spicchio di paradiso sulla via Latina, in cui alberi, pietre, acqua sono l’anima stessa di questo luogo, una casa con giardino, piante, tra i tanti alberi la fa da padrone l’acero rosso giapponese con le mille sfumature delle sue foglie, un angolo Zen romantico e suggestivo.
Un ambiente rilassante di cui Tilde ha curato personalmente l’arredamento, scelto anche i complementi d’arredo, dal più piccolo al più grande, lumi, tende, suppellettili. Un ambiente rilassante, che Tilde ha chiamato “la villa dei tuoi eventi a pochi passi da Roma”, essendo diventata location per matrimoni, compleanni, servizi fotografici.
Chiedo a Tilde cosa ha comportato questa decisione,questo reinventarsi,se ha dovuto rinunciare a qualcosa,e se i successi hanno ripagato i sacrifici.
Ecco la storia di Tilde

IL CORAGGIO DI METTERSI IN GIOCO

Si, il progetto ha richiesto moltissimo impegno, ho dovuto rimettermi in gioco, la casa aveva bisogno di lavori di ristrutturazione che abbiamo eseguito noi, anche imbiancare! Poi ho dovuto imparare a gestire il giardino, a curarlo, e ad usare il decespugliatore.
Rinunce? Tante, sopratutto le vacanze, perchè non era possibile partire e non innaffiare piante e fiori, in estate,s pecialmente col caldo torrido di questi ultimi anni.
Non pensavo di avere tutta questa forza e questa energia, ho incontrato tanti ostacoli a livello burocratico, e all’inizio notavo che le persone con cui mi rapportavo per i lavori, non avevano fiducia nella mia professionalità, riguardo a compiti considerati generalmente maschili,ma che sono riuscita a portare a termine, tanto è vero che poi si sono stupiti vedendo cosa ero riuscita a fare.
Ci abbiamo lavorato tre anni, dal 2000 al 2003, ma adesso le soddisfazioni ci stanno ripagando, i nostri locali sono stati usati come location per un servizio fotografico di moda,registrato dalla Sony.
Il cantante napoletano Gigi Finizio ha girato qui un video completo per un suo brano. Cinecittà ha realizzato inoltre servizi fotografici e shooting su moda, make up, fashion e abbigliamento.
E’ stata dura,ma sono soddisfatta, ho realizzato il mio sogno di creare un angolo incantevole, ne valeva la pena!
Tilde Stirpe

Anche per Tilde la password è la stessa: tenacia, costanza, fiducia in se stessa, voglia di mettersi in gioco.
Quattro storie che “…non sono scritte sulla carta, ma sono scritte nei corpi e nelle menti delle donne”.