SUPERARE L’OSTACOLO LINGUISTICO CON I CORSI DI LINGUA PER STRANIERI

Inclusione e scuola. E’ diventata ormai consuetudine far retrocedere di un anno lo studente, indipendentemente dalla sua bravura e dalle sue competenze, con la convinzione che in questo modo possa recuperare tutte le difficoltà e integrarsi meglio. Però come è possibile che uno studente può integrarsi meglio se subito viene collocato in una classe dove non dovrebbe stare, anagraficamente parlando?

Il tema dell’inclusività è un argomento piuttosto generico che richiede ampie riflessioni e che ha bisogno di essere perennemente contestualizzato.
È necessario analizzare la questione partendo sia dalle grandi realtà delle città metropolitane sia da quelle riguardanti paesi che contano poche migliaia di cittadini, come ad esempio, Artena.
Cosa s’intende per inclusione sociale? La prima immagine che ci viene in mente è quella di una persona che, per vari motivi, emigra e si ritrova catapultato in un contesto sociale diverso dal suo.
Sicuramente ha un senso iniziale di smarrimento, ha quindi bisogno di costruirsi dei nuovi punti di riferimento contando innanzitutto sulle proprie esperienze. Molto spesso ciò risulta difficile per diversi motivi: in una realtà come quella di Artena, in cui la burocrazia è già difficile per il cittadino locale, lo diventa ancora di più per chi ha, tra le mille cose, delle difficoltà linguistiche. Di fatto non c’è uno spazio dedicato a chi viene da un paese estero. In questi casi non serve una corsia preferenziale, basterebbe una migliore organizzazione da parte degli enti preposti.
Poniamo il più classico degli esempi sui problemi che riguardano l’inclusività territoriale per una famiglia che proviene da un paese estero e che decide di vivere in una piccola cittadina come la nostra. Il primo ostacolo da superare è quello di tipo linguistico, bisognerebbe quindi rafforzare, nel caso in cui già ne esistesse uno, un corso ad hoc di italiano per stranieri. Generalmente sono le piccole realtà di volontariato che si occupano di queste dinamiche. È necessario, però, che il comune intervenga in maniera più concreta affinché lo straniero possa apprendere la lingua di arrivo, in questo caso l’italiano, in maniera più agevole.
Superato l’ostacolo linguistico molte barriere sociali si romperebbero di conseguenza. Saper comunicare e ritrovarsi nella vita di tutti i giorni ad affrontare anche le più piccole cose, dopo aver consolidato una consapevolezza linguistica, aiuta lo straniero a cavarsela con più facilità.
Superare l’ostacolo linguistico e creare le condizioni affinché questo avvenga è un segno evidente di inclusione territoriale, di partecipazione attiva da parte degli enti comunali nell’interesse concreto del fabbisogno di tutti i cittadini, compresi quelli di nazionalità estera.
Un’idea utile in questo senso potrebbe essere quella d’introdurre dei corsi serali ben strutturati con insegnanti qualificati, tirocinanti o chiunque si interessi attivamente alla causa.
Discorso diverso riguarda i figli degli stessi immigrati. Potrei dilungarmi sulla questione spinosa dell’ottenimento della cittadinanza e di come ciò risulti tutt’oggi problematico a causa di regole che sembrano essere fatte più per ostacolare anziché includere.
Si pensi, ad esempio, ai tempi estremamente lunghi per presentare la domanda, a tutte le informazioni da reperire, ai molti documenti necessari e molto altro. Tutto ciò non fa altro che rendere difficile il sentirsi parte di una collettività.
I figli d’immigrati solitamente riescono ad entrare più facilmente in sintonia con il territorio.
Ciò avviene anche grazie al fatto che nella maggior parte dei casi frequentano le scuole locali, fanno quindi meno fatica a relazionarsi con i propri coetanei.
Molto spesso, però, sono gli stessi insegnanti a non essere adeguatamente preparati nel saper gestire gli alunni stranieri. Infatti, è diventata ormai consuetudine far retrocedere di un anno lo studente, indipendentemente dalla sua bravura e dalle sue competenze, con la convinzione che in questo modo possa recuperare tutte le difficoltà, principalmente linguistiche, e integrarsi meglio.
Mi domando, però, come sia possibile che uno studente possa integrarsi meglio se già in partenza viene collocato in una classe dove non dovrebbe stare, anagraficamente parlando.
Invece di inserire gli alunni stranieri in classi che non gli appartengono, si pensi piuttosto ad incrementare orari dedicati all’apprendimento della lingua italiana, anche pomeridiani, oppure ad attività inclusive in cui viene coinvolta tutta la classe.
Bisognerebbe essere preparati, consci ormai del fatto che viviamo in un mondo globalizzato, in cui gli spostamenti avvengono in maniera veloce.
Per questo motivo sarebbe utile essere più concreti, più inclusivi, più comprensivi.
Essere inclusivi vuol dire condividere le nostre esperienze con quelle di chi ha guardato il mondo con occhi diversi dai nostri. Sebbene la difesa di un’identità culturale sia cosa giusta, bisogna però ricordarsi che siamo cittadini del mondo.

ABIDI GASSER