GIOVANI E BOOMERS, GENERAZIONI A CONFRONTO. COM’ERA E COM’E’ ARTENA

Abbiamo parlato con i ragazzi di oggi e con quelli degli anni settanta, ne è uscito uno spaccato davvero
interessante sulla società della nostra città. Meglio o peggio? Stavamo bene cinquanta anni fa e oggi stiamo peggio o è il contrario? Le riflessioni di una ventenne.

Un giorno un amico mi raccontò di suo padre, di come all’epoca le rivolte e le guerre civili erano all’ordine del giorno, di come qualsiasi persona potesse essere esposta al pericolo del conflitto.
Ciò mi ha fatto scaturire una serie di domande: Come era vivere in un ambito post guerra? Cosa voleva dire avere i propri genitori cresciuti da una mentalità impostata da odio, vendette e conquiste? Come sarà stato vivere la storia e non studiarla da lontano? Cosa voleva dire soffrire giornalmente la fame o la carestia? Cosa è cambiato tra come si viveva nel dopo guerra e oggi?
Nell’arco di qualche giorno ho deciso di sviluppare queste idee affrontando alcune delle domande e restringendo un po’ il campo. In particolar modo mi sono concentrata sulla vita di Artena di cinquanta anni fa e ho ideato una serie di interviste per farmi l’idea di cosa significasse vivere la propria crescita negli anni ‘70/’80 e cosa invece vuole dire oggi. Per avere delle risposte sono iniziate le ricerche per le quali mi sono fatta aiutare da due gruppi, uno di ragazzi e uno di adulti
Noi, oggi ragazzi, possiamo studiare dai libri di storia e informarci sulla rete, gli adulti di ora possono osservare le nuove generazioni con i propri occhi, ma nessuno dei due può realmente sapere sulla propria pelle cosa significhi vivere nei panni dell’altro e nei tempi dell’altro.
Meglio o peggio? Dipende.
Su diversi punti di vista non è cambiato molto, le persone davano spazio ai propri sogni e passioni già cinquanta anni fa, che fossero la fotografia, la scrittura, il disegno, la musica o altro ancora. Si usciva la mattina per andare a scuola, si stava con gli amici, si partecipava ad associazioni del posto, si lavorava e si ballava il sabato o la domenica sera.
Ho potuto osservare grazie a questa analisi, che le faccende quotidiane di prima e quelle di adesso sono molto simili, ciò che cambia è il come vengono svolte e affrontate.
Se negli anni ’80, a esempio, trovavi i ragazzi dopo la scuola a giocare a pallone nelle piazze di Artena, ora li troviamo al bar o rinchiusi in casa, dato che in giro <>. Se ora si studia con facilità anche perchè l’impegno economico è gestibile, prima non era alla portata di tutti. Se una volta potevamo trovare gruppi di giovani che si incontravano al “muro del pianto”, ora gli stessi gruppi possiamo trovarli in biblioteca o al ristorante. Se ora basta un messaggio per sapere dove si esce o a che ora, prima si doveva andare a bussare alla porta di casa. Se una volta si trovava lavoro tramite il passa parola, ora si deve inviare il curriculum a più aziende, prima di poter essere chiamati da qualcuno.
Indubbiamente è difficile, o forse impossibile, stabilire cosa sia peggio o cosa sia meglio; c’è chi sta meglio ora, c’è chi dice che si stava meglio prima.
Ci sono dinamiche invece che sembrano non essere cambiate per niente.
Ad esempio, noi giovani ora tendiamo a lasciare il paese appena abbiamo la possibilità di spostarci autonomamente, ma prima? C’era chi aspettava la domenica per poter andare a ballare nelle discoteche di Roma, chi la sera frequentava i pub di Colleferro e/o Frascati, chi l’estate partiva per esplorare panorami differenti, chi non vedeva l’ora di cambiare paese.
Allo stesso tempo ho riscontrato più persone che sono rimaste qui per scelta, sia tra gli adulti sia tra i giovani, principalmente per il panorama che non si trova da altre parti, poi per la famiglia, per gli amici, per le proprie abitudini.
In ogni epoca c’è chi vuole andare via correndo e chi invece vuole rimanere qui a piedi saldi, per una ragione o per un’altra.
Diversamente, l’aspetto del lavoro sembra essere cambiato e non di poco.
Tra gli anni ‘70/’80 la ricerca e l’ottenimento del lavoro avveniva principalmente tramite il passa parola e attraverso agganci familiari e si poteva essere impiegati in funzioni di commesso, nell’edilizia, da manovale, da pastore e da altro ancora, all’interno di negozi, di fabbriche, di cantieri e di fattorie.
Anche in quel periodo c’erano poi personalità che fin da subito erano più creative, che si inserivano in vari contesti culturali, come la scrittura, l’attivisimo o la recitazione.
Infine, una gran parte dell’esperienza lavorativa di chi ha vissuto in quegli anni, è stata plasmata anche dal servizio di leva obbligatorio, con il quale i giovani partivano per la durata di dodici mesi, lontano dai propri familiari e amici, per ricoprire ruoli militari.
Ad oggi possiamo affermare che i mezzi utilizzabili per la ricerca del mestiere sono di più e più veloci. Abbiamo la possibilità di informarci sui vari luoghi di lavoro distanti da noi, inviare cv online senza dover girare ore intere per le città, tra i vari negozi e lavorare da casa grazie allo sviluppo di nuovi settori.
Al tempo stesso però è divenuto più complicato essere accettati per tutta la concorrenza che esiste. La priorità dovrebbe essere data ai laureati, ma spesso anche chi ha studiato tre, cinque o più anni all’università per conseguire una laurea, rimane disoccupato.
Fortunatamente, in questi ultimi anni i giovani di Artena (e non solo) sono stati aiutati dal Servizio Civile Universale, che offre un anno di contratto, una forte esperienza lavorativa, una buona reputazione sul CV e un piccolo sostegno economico, anche con la possibilità di avere tempo di studiare durante la settimana essendo un impiego part-time.
Questo però non garantisce un lavoro a lungo termine, perciò per quanto sia confortevole e di aiuto, non risolve il problema della difficoltà di crearsi una propria carriera.
Così negli ultimi anni molte persone tendondo ad aprirsi un proprio business, dedicandosi a professioni nuove e stimolanti, ottenendo orari di lavoro più flessibili e manovrabili, un maggiore controllo sui propri guadagni, scegliendo i propri collaboratori e lavorando da dove preferiscono.
Non solo riescono a gestire il proprio lavoro con più autonomia, ma le spese per mettersi in proprio sono più basse di quel che si può pensare.
Ma in tutto ciò, gli abitanti di Artena cosa ne pensano di Artena stessa?
Chi ha vissuto la propria gioventù tra gli anni ‘70/’80 descrive Artena come <>, dove si giocava regolarmente, aiutati dalla fantasia, nelle piazze del paese, si stava insieme dopo scuola nelle strade o nelle case per fare i compiti o mangiare. Inoltre ci si incontrava in giro in grandi gruppi di ragazzi che passeggiavano poi tutti insieme.
Ma sull’Artena di oggi non sembra esserci tanta speranza, né da parte degli adulti né dei giovani.
Secondo molti <>, <>, <>. Cosa è cambiato? Da dove viene questa distanza?
Vediamo insieme cosa dicono i ragazzi di oggi.
<>, <>.
Cosa intendono? Abbiamo bar, pizzerie, un pub, gelaterie, una biblioteca, una libreria; tutti luoghi utilizzabili come punto di ritrovo, eppure manca qualcosa. <>, dice L. <>.
Cosa cercano queste future generazioni? Cosa può dargli Artena? Cosa può dargli la comunità che adesso ancora non ha? Perchè le persone vanno via creando la loro vita da capo, nei paesi limitrofi e non costruiscono qualcosa dove già vivono?
Dall’esterno si ricevono grandi complimenti: sia sulla bellezza del borgo, sia sulla processione della Madonna, sia sulla grandezza del palio delle contrade, sia sulla brillantezza della “Città Presepe”; ma dall’interno notiamo sempre di più ciò che invece non funziona.
I giovani richiedono a gran voce più comunità, più unione nella nostra società, più comprensione verso il periodo che stiamo passando e le difficoltà che affrontiamo quotidianamente. Propongono attività nuove, una migliore visibilità delle manifestazioni organizzate dalle associazioni, una palestra che inciterebbe a nuovi incontri, un cinema, più apertura al turismo.
Hanno idee che gioverebbero a tutta Artena, riportandola in vita, con la gente che passeggia o che si ferma a chiacchierare sotto al sole come una volta.
Ma non sembrano essere ascoltati. Si sentono esclusi e tagliati fuori da un luogo che ormai è considerato già morto. L’unica cosa che si sentono in grado di fare per crearsi dei loro momenti, è scappare via.
Adulti e giovani non dovrebbero essere due fasce di età divise tra di loro, al contrario, dovrebbero collaborare per riportare alla luce la splendida città che ci ospita. Associando l’esperienza degli adulti e le idee dei giovani potremmo aprirci ad un nuovo mondo che sosterrebbe e ospiterebbe tutti quanti.

CHIARA SABA