SOLO L’AMARE, SOLO IL CONOSCERE CONTA…

Bellissima manifestazione con gli scritti, le poesie e le profezie di Pier Paolo Pasolini, accompagnate dalle musiche dei Maestri Filippo Cianfoni e Doriano Prati

In una sala gremita del Granaio Borghese, domenica 11 giugno, l’associazione culturale Giovedì diVersi ha presentato un evento dedicato a Pier Paolo Pasolini. Lo scorso anno, centenario della nascita di uno dei maggiori intellettuali italiani del Novecento, numerose sono state le celebrazioni, e proprio la partecipazione ad una di queste ha fatto nascere in noi il desiderio di approfondire, di riflettere e di confrontarci su questa figura complessa, poliedrica, eclettica e ricca di contraddizioni. Forse proprio la contraddizione è l’aspetto che ci ha affascinato di più: Pasolini è stato un uomo portatore di contraddizione, non in se stesso, ma con le sue opere, con la sua vita, addirittura con il suo corpo, ha rappresentato la contraddizione che ancora ci interpella. Ne abbiamo parlato con delle immagini, delle musiche, delle riflessioni, ma soprattutto dando voce ai suoi scritti e alle sue poesie. Inevitabile partire dalla sua morte, più precisamente dal discorso accorato che pronunciò Alberto Moravia al funerale: “Abbiamo perso prima di tutto un poeta, e poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo, quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta, il poeta dovrebbe esser sacro!” Moravia aveva ragione, a quasi cinquant’anni dalla sua morte, ci siamo ritrovati, insieme a tantissimi altri e non solo in Italia, a parlare di Pasolini: noi di Giovedì diVersi lo abbiamo fatto ciascuno con la propria sensibilità, superando anche qualche remora dovuta ad alcuni aspetti della sua personalità che abbiamo faticato a comprendere. Quello che sempre sorprende quando ci si avvicina a Pasolini è la sua attualità: il suo pensiero è attuale, il suo sguardo sulle cose è di un’attualità sconvolgente. Negli scritti corsari, nelle lettere luterane, nelle poesie e nelle interviste le sue parole sono state profetiche, tanto hanno predetto della storia vissuta dall’Italia dopo il 1975, anno della sua morte, non a caso il sottotitolo del nostro evento recita “scritti, poesie e profezie”. Le sue parole oracolari sul presente hanno una valenza ancora maggiore e restano un’eredità per il futuro, perché non si sono limitate a darci un quadro esplicito di eventi, cause e conseguenze, ma hanno testimoniato la voglia di lottare, di battersi sino alla fine, e battersi è stata probabilmente l‘ultima azione che ha compiuto in quell’ultima notte all’idroscalo di Ostia. Egli ha magistralmente incarnato lo scandalo, nel senso etimologico del termine: inciampo, ostacolo, intoppo; ciò che disturba, che fa discutere, che spinge a riflettere. Pasolini è attuale perché è una pietra d’inciampo, ci fa stare sempre un po’ scomodi. Non abbiamo voluto celebrarlo, spesso le celebrazioni costruiscono dei santini che perdono valore, piuttosto lo abbiamo cercato, scoperto, abbiamo provato ad esplorare qualche strada da lui tracciata, con l’intento di dare una risposta a quella che era una sua preoccupazione e che è tutta racchiusa in una sua frase che testualmente dice: “La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi”.
Pasolini vive in un arco di tempo che va circa dagli anni ‘20 agli anni ‘70: in questa epoca l’Italia subisce una trasformazione radicale, da Italia fascista, arretrata, poco alfabetizzata, scarsamente industrializzata, basata su una società contadina, arcaica e religiosa, si trasforma in un’Italia industrializzata, una società dei consumi che vive un boom economico, ed egli è testimone ed interprete di questi mutamenti. A Casarsa, paesino del Friuli di cui è originaria la mamma, Pasolini si avvicina alla realtà contadina, scopre quella vita semplice in cui i rapporti tra le persone sono sinceri e le passioni sanguigne, infatti sarà sempre uno strenuo difensore della cultura contadina, incontaminata ed innocente, con i suoi valori incorrotti, dove anche il fatto di parlare e scrivere in friulano era un modo per opporsi all’omologazione così diffusa. Nel ’49 con la mamma arriverà a Roma e, dopo i primi anni difficilissimi, si afferma come grande poeta e romanziere e nel ’60 anche come regista, trasferendo nelle sue opere la mitizzazione delle campagne friulane nella cornice delle borgate romane, dando origine al mito del sottoproletariato romano.
Quello che mi ha sempre colpito, quando ho provato a leggere i suoi romanzi o a vedere i suoi film, è che i personaggi di Pasolini sono senza redenzione. Per questo ho scelto di fare la lettura teatrale di un brano datato 1952 ma uscito sull’Unità il 15 luglio del 1962, dieci anni dopo, scritto prima dei suoi romanzi “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”, prima dei suoi film “Accattone” e “Mamma Roma”. Nel ’52 Pasolini era a Roma da soli due anni ma la sua predilezione per la città e per questi ragazzi del sottoproletariato c’era già tutta: la scanzonatezza del liberante Claudio che, appena uscito dal carcere, vive la trascinante allegria del popolo di San Lorenzo in festa. Una gioia contagiosa che Pasolini, a metà degli anni Sessanta, considera sparita, omologata al linguaggio comune e al consumismo dilagante ma, nel racconto “Dal vero”, la grazia e la purezza è ancora tutta intera.
Massimo Martini ha scelto una lettera di Pasolini ad un amico sacerdote, al quale confessa la difficoltà e la sofferenza che prova nel cercare un punto di equilibrio per affrontare le traversie della vita che lo fanno sentire “bloccato”, con un’immagine che quasi prefigura la sua morte.
Daniela De Castris ha letto forse la poesia più famosa di Pasolini, “Supplica a mia madre”, una evocazione lirica potente, un grido doloroso, una preghiera e una confessione nella quale si mette a nudo e rivela la sua omosessualità. Durante un incontro pubblico, a Bologna, ad un tale che gli aveva domandato cosa avesse rappresentato per lui l’omosessualità, Pasolini rispose “È stata la grande tragedia della mia vita”.
Renato Centofanti ha presentato il Pasolini politico, leggendo dal “Romanzo delle stragi”: “Io so i nomi dei responsabili…” un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 14 novembre del 1974 che squarcia il velo ipocrita sulla “strategia della tensione” in Italia. L’accusa diretta al Potere, con tale forza, può farla solo un intellettuale coraggioso, Pasolini si scaglia contro quel Potere senza ritenersi, senza protezione, lo fa con un uso formidabile della retorica; attraverso la reiterazione dell’Io so, pone al centro dell’attenzione pubblica non solo l’estro nell’uso della parola, ma soprattutto l’importanza della figura dell’intellettuale, detentore di una verità visionaria capace di andare oltre i limiti imposti dal giornalismo d’inchiesta, per farsi voce tonante contro i potenti dell’epoca.
Il grande Eduardo ebbe a dire, dopo la sua morte: “Pasolini era veramente un uomo adorabile e indifeso, era una creatura angelica, una creatura che abbiamo perduto e che non incontreremo più come uomo, ma come poeta diventa ancora più alta la sua voce, e sono certo che pure gli oppositori di Pasolini oggi cominceranno a capire il suo messaggio e quello che ci ha voluto dire e che servirà molto, e ci sarà di molto aiuto”.