UN LIBRO ALLA VOLTA. IL CANTO DI PENELOPE

Margaret Atwood, autrice de “Il racconto dell’ancella”, ci restituisce il mito in una nuova luce. Ingegnosa e creativa decostruzione di un mito. La versione volutamente irriverente di Penelope, con i contrappunti delle ancelle fatte impiccare da Ulisse al suo ritorno a Itaca

In uno stile che vuole richiamare la forma del poema, ambientato in un Oltretomba dimenticato dal tempo, dove il cibo sono petali di asfodeli e le anime vagano in cerca di qualcuno che le ascolti, la Atwood evoca Penelope per consentirle il suo ultimo atto di fedeltà: essere fedele a se stessa, annullando quel tradimento che si è portata dietro per troppo tempo: il silenzio. Il silenzio di una donna la cui “odissea” si sono dimenticati di tramandarci.
Il libro si articola in 29 brevi capitoli che si alternano ai brevi cori delle 12 ancelle infedeli fatte impiccare da Ulisse. Un’irriverente ricostruzione della conclusione dell’Odissea secondo la prospettiva di Penelope e delle 12 ancelle che, ormai nell’Ade e libere da condizionamenti storici e sociali, possono esprimersi liberamente. Penelope è sempre stata celebrata dalla tradizione agiografica, come il prototipo della moglie intelligente, virtuosa, paziente, fedele, con una fede incrollabile nel ritorno del consorte al focolare domestico, “una leggenda edificante, un bastone con cui picchiare altre donne” meno virtuose di lei. Qui invece ella ripercorre e reinterpreta le vicende più salienti della sua vita e del suo rapporto con Ulisse in una prospettiva soggettiva nuova ed anticonvenzionale.
Penelope ci dà la sua versione della storia: quella di una donna più intelligente che bella (e per questo contrapposta alla cugina Elena), costretta a lasciare Sparta per un’isola sassosa e brulla dove regna incontrastata la suocera Anticlea e il controllo dalla nutrice di Ulisse, Euriclea, è costante. L’intesa con il marito è profonda, entrambi sono scaltri, furbi e le loro menti si legano bene, ma quando iniziano a conoscersi un po’ meglio l’uomo dal multiforme ingegno parte per Troia. Per Penelope inizierà la lunga attesa, con la speranza che si attenua di giorno in giorno, e la voglia di un futuro diverso che si insinua. La narrazione in prima persona si alterna a quella del coro delle dodici ancelle, fedeli a Penelope, le sue orecchie e i suoi occhi nei confronti dei Proci, ma che saranno impiccate senza pietà nell’ora della vendetta di Ulisse.
Che cosa ha portato all’impiccaggione delle dodici ancelle e che cosa c’era veramente nella mente di Penelope? Penelope che piange sempre, che invidia Elena per la sua bellezza, che sopporta una suocera acida, una governante invadente, un figlio viziato e prepotente; che nonostante conosca la capacità di mentire e raggirare del suo uomo, continua a far finta di credergli.
La figura di Ulisse ci viene presentata dalla prospettiva di una moglie abbandonata per anni, le sue azioni spogliate dal contesto divino e mitologico del poema omerico. Quel che resta è un mondo fortemente patriarcale, in cui le donne, ricche o schiave (e in ogni caso schiave), possono contare solo sul proprio ingegno per sopravvivere.
E Penelope ha qualcosa di antieroico ma al contempo di marcatamente simbolico.