SI FA PRESTO A CHIAMARLO DIALETTO

L’artenese, inteso come idioma, nasce con influssi sabini e della Valle dell’Aniene. Ibrido che rispecchia la posizione geografica di passaggio di Montefortino e Artena.

In questo articolo voglio cercare di analizzare il dialetto artenese cercando di capire in che famiglia dialettale ricada, essendo soggetto a influssi di diverso tipo. Spesso viene definito come ciociaro ma secondo me è un po’ riduttivo, perché se è vero che influssi ciociari sono presenti (d’altronde la provincia di Frosinone dista da Artena circa 20 km) sono presenti anche caratteristiche diverse.

Ma prima un po’di storia: Nel 1557 papa Paolo IV decise di incendiare e radere al suolo Artena (allora Montefortino) come ripicca verso la famiglia Colonna che possedeva il paese la quale si era alleata con gli spagnoli e dunque contro il pontefice nella guerra di Campagna e Marittima. Dall’incendio si salvarono pochissimi abitanti, (alcuni morirono e la maggior parte fuggirono) e alla morte di Paolo IV le figlie di Giulio Colonna decisero di ripopolare il paese facendo giungere in massa cittadini di Arcinazzo e Picinisco, paese a sud est di Frosinone quasi a confine con l’Abruzzo e il Molise. Quindi l’artenese avrebbe potuto subire un cambiamento linguistico post incendio dovuto alla ripopolazione dei nuovi coloni.

Inquadriamo la questione da un punto di vista più generale: senza dubbio il dialetto artenese si colloca tra quelli mediani; Il Lazio presenta un pluralismo dialettale tale da rendere difficile effettuare distinzioni nette tra le varie parlate, ma fondamentalmente i gruppi principali sono: dialetti della Tuscia viterbese, romanesco, sabino-ciociaro e i dialetti del basso Lazio che ricadono nei dialetti meridionali a causa della vicinanza al napoletano. L’artenese ricade nel terzo gruppo, e a mio avviso gli influssi sabini e della Valle dell’Aniene sono maggiori rispetto a quelli ciociari. Prendiamo ad esempio il dialetto di Tivoli, oggi quasi scomparso in favore del romanesco, e leggiamo questa simpatica poesia di Marcello De Santis:

“Me voleanu sposa’ co Zinforosa” “chi Zinforosa?” “La figghia de Mariarosa! Abbitea ar domo! Non te l’arecordi? “Fallo pe mamma tea” me diceva mamma! “Bellu de mamma sea.. e ssosì tu lo fa pure pe’te! Che quella cià li sordi!”

“io non me la sposo” ce so dittu “Io non sarajo tanto bellu, ma tune ma’. sta fori de cervellu”

Ad un artenese molti termini sembreranno familiari: la differenza più evidente sta nella conservazione della U finale latina al maschile, fenomeno estraneo all’artenese ma presente nei dialetti della Valle dell’Aniene (Subiaco, Arcinazzo Romano) nel sabino e in alcuni comuni dei castelli romani (Marino, Genzano di Roma); l’artenese presenta invece l’esito generalizzato in O come in italiano, caratteristica che va da Ariccia-Velletri a est fino ai paesi a nord della provincia di Frosinone come Paliano-Serrone e Filettino al confine con l’ Abruzzo. Anche per gli altri paesi dei lepini come Cori, Segni, Carpineto vale lo stesso discorso. Un’ altra differenza è che il tiburtino, come ad esempio nella parola “Bellu” mantiene la doppia L, che in artenese invece subisce una palatalizzazione in GLI o J (Beglio per Bello). Questa è molto probabilmente una caratteristica ciociara, es. “jo cavajo” a Serrone (FR) ma “jo cavallo” a Montelanico (RM).  Similmente all’area sabina l’artenese presenta metafonesi di alcune parole al maschile (es. niru a Rieti, niro ad Artena, ma in entrambi  i dialetti nera al femminile), la caduta di nn alla terza persona plurale (A Rieti au, fau per hanno e fanno, ad Artena e anche a sud est ao, fao),  e gli avverbi di luogo come ecco (qui) e loco(li), anche se usati in modo leggermente diverso, ad esempio ad Artena si antepone “a” es: so’ ito a loco” mentre a Rieti jemo loco entro (andiamo li dentro). Per intendere “qui” ad Artena è usato molto anche “ecchi” sconosciuto alla Sabina e presente in ciociaria pontificia come ad esempio a Fiuggi ma anche nella valle dell’Aniene (Subiaco).

Alla luce di queste considerazioni si può dire che nonostante l’originaria popolazione fosse stata decimata nel 1557, l’artenese sia riuscito comunque a mantenere un’identità molto simile a quella che aveva in precedenza, essendo le influenze ciociare presenti ma in modo piuttosto contenuto; in particolare l’afflusso di genti provenienti da Picinisco non ha evidentemente lasciato nulla del ciociaro meridionale, che forse a causa della distanza tra Artena e la bassa ciociaria, non è riuscito ad attecchire nel tempo; non è presente l’indebolimento della vocale finale (es: Tiemp’,(tempo) alloc’(li), nè la metafonia napoletana presente anche a Frosinone (uocchi, puorcio).

In definitiva molte delle caratteristiche fonetiche che porterebbero a pensare l’artenese come un dialetto prettamente ciociaro sono condivise anche col tiburtino e con il sabino, geograficamente a nord di Artena, e coi dialetti dei castelli romani. 

Un dialetto caratterizzato da questa natura un po’ ibrida rispecchia sicuramente la posizione di passaggio che Montefortino occupa geograficamente, oltre che l’apporto delle molteplici genti che nei secoli l’hanno popolata.

Kevin McNally