MA QUALE DAD

LA DIDATTICA A DISTANZA NON PIACE A NESSUNO, MA DOPO OTTO MESI DALL’INIZIO DELL’EMERGENZA, DOPO ESSERE STATI GLI ULTIMI A RIAPRIRE, DOPO AVER PROVATO PROFONDO IMBARAZZO PER LE DICHIARAZIONI DEL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE, VOGLIAMO TORNARE IN DAD

La Dad fa schifo. Sì, la didattica a distanza, dove l’unica cosa certa è la distanza, non piace a nessuno. Fin dal 6 marzo, anche i docenti più recalcitranti e in dichiarato conflitto con la tecnologia, si sono attivati per fare scuola attraverso il collegamento alla rete, perché questo è il nostro lavoro, insegnare. E lo abbiamo fatto in quella modalità perché era la sola possibile in quello stato di emergenza. Prima di scoprire e utilizzare le piattaforme dedicate, abbiamo usato WhatsApp: avete idea di cosa significhi fare una lezione di filosofia scrivendo dei messaggi, al limite mandando dei vocali? Poi abbiamo adoperato Edmodo, Skype, Zoom e infine Meet, con annessi e connessi. Da maldestri fruitori di messaggistica ci siamo trasformati in youtuber consumati. Abbiamo affrontato i problemi e provato a risolverli, facendo appello a tutte le nostre risorse e a quelle che ci offriva la rete. Ma qual è la caratteristica della rete? Tenerci connessi, mantenere la comunicazione. Questo è insegnare? In parte. Il mio professore di Pedagogia all’università, diceva che non si insegnano nozioni, ma si insegna una Weltanshauung, una visione, una concezione della vita e del mondo e la posizione dell’uomo in esso. Diceva ancora che per insegnare ci vuole sex appeal, in senso pedagogico. Tutto ciò è passato attraverso gli schermi dei computer? Non lo so. Di sicuro abbiamo fatto del nostro meglio, consumando la vista e le energie. Non siamo dei missionari, questa definizione riferita agli insegnanti mi dà l’orticaria, è un lavoro, anche se diciamo “sono un’insegnante” e non “faccio l’insegnante” e “vado a scuola” e non “vado al lavoro”; certo, rispetto a quello che diceva il mio professore, lo facciamo con maggiore o minore senso di responsabilità, consapevolezza e capacità e, in questa pandemia, con le paure, le preoccupazioni e le angosce di tutti gli altri. E adesso, dopo otto mesi dall’inizio dell’emergenza, dopo essere stati gli ultimi a riaprire, dopo aver provato profondo imbarazzo e costernazione per le dichiarazioni del ministro dell’istruzione, vogliamo tornare in Dad. Lo capiamo che la situazione è inedita e complessa, lo è per tutti, ma non è più tollerabile la serie di errori grossolani commessi sulla scuola da marzo. È chiaro da anni che la scuola in questo Paese non è una priorità, perché non c’è una visione a lungo termine e con la pandemia si è persa anche quella a breve termine. Contemporaneamente ad un piano per la riapertura, fin da marzo, si doveva pensare a normare la Dad, in una qualche misura; invece ci si è affidati alla buona volontà di docenti e discenti, affrettandosi a precisare che comunque sarebbero stati tutti promossi: era ovvio, qualsiasi provvedimento poteva essere impugnato da un genitore, ma era necessario dirlo fin da subito? Lo sa il ministro che ci sono stati alunni che, dal 4 marzo, si sono fatti vivi a giugno? Poi, con l’arrivo dell’estate, sono iniziati tutta una serie di balletti: banchi con il plexiglass, banchi senza plexiglass, banchi monoposto, banchi con le rotelle, due metri di distanza, un metro e mezzo, un metro, un metro statico, un metro dinamico, un metro tra le rime buccali, termoscanner a scuola, temperatura misurata a casa… se non si
possono allargare gli spazi, si allargano le regole… ed eravamo ancora ad agosto. Ho intuito il baratro quando ho visto il ministro in una trasmissione serale che testava un banco con le rotelle: perché si sottoponeva a quella prova imbarazzante? Le do una notizia, ministro, i ragazzi non c’entrano in quei banchi, neanche quelli del secondo anno, non mantengono la distanza perché hanno le rotelle (appunto!) e sulla ribaltina ci sta solo un quaderno. Comunque a settembre siamo tornati a scuola, emozionati come adolescenti: abbiamo fatto tutti il sierologico ed eravamo tutti negativi; ma le aule sono rimaste quelle, anzi, per aumentare lo spazio non c’è più la cattedra e neanche la lavagna… però ci sono 5 ingressi, un sanificatore ogni dieci passi, strisce, frecce e pallini per indicare i percorsi. Nelle aule si sta tutti seduti, tutti fermi, tutti con la mascherina, che si abbassa solo per fare merenda ma in silenzio… se un alunno va al bagno si registra l’orario di uscita e quello di rientro… più saremo bravi ad osservare queste regole, più staremo a scuola, insieme… E i ragazzi sono stati bravi, seduti, fermi e con la mascherina per 4, 5 e 6 ore… provo pena per loro, che mi dicono: “Professore’ ma che senso ha… fuori dal cancello la togliamo la mascherina e sull’autobus stiamo tutti ammucchiati”. Già. Perché le corse, già insufficienti, sono quelle di prima, gli autobus dovevano essere riempiti al 50, no, al 70, facciamo all’80 % e non se ne parli più… salvo poi riempirli al 110 come sempre… se non si possono allargare gli spazi, si allargano le regole. Infatti sono arrivati i primi contagi, le classi in quarantena, i tamponi. E qualcuno pensava ancora di poter reggere. Ma se hai una classe in quarantena con 10 professori in quarantena, e poi un’altra classe con altri 10 professori, come la mandi avanti una scuola? Ah, la Dad si è trasformata in DDI (didattica digitale integrata, quanto gli piacciono le sigle al Miur!), che qualcuno ha già tradotto con licenza poetica: Dove (cazzo) Dovrei Installarmi, perché il docente deve farla da scuola: inizialmente al 20, poi al 50, poi al 75 %, chi offre di più? Si susseguono i Dpcm e le note del ministero impongono di adeguarsi entro 24 ore: il ministro va in televisione e non distingue un test sierologico da un tampone rapido. Indifendibile. Ingresso a scuola alle 9. Per caso, nella notte, avete potenziato i trasporti e gli studenti non vengono scaricati alle 7,30? Cialtroni. Il ritardo e l’insensatezza di certi provvedimenti è colpevole e offensivo. Non avete nessuna idea di come funzioni una scuola e imponete disposizioni oltraggiose. Vaghiamo per queste scuole semivuote come sopravvissuti, alla ricerca di un’aula meno gelida, almeno i ragazzi creavano l’effetto bue-asinello. Ci posizioniamo come per il lancio dello Shuttle: pc per il collegamento, cuffie con microfono, tablet per l’appello, pen drive per gli effetti speciali, libri perché gli effetti speciali fanno cadere la connessione; da soli dentro aule vuote. L’unico aspetto positivo è che, dopo quasi due mesi, vedi le loro belle faccette senza mascherina. E allora lo ripeto: vogliamo la Dad al 100 %. Ma di tutte le conseguenze, presenti e future, siete colpevoli.