UN FILM ALLA VOLTA UNA COMMEDIA TERAPEUTICA IN TUNISIA

Un divano a Tunisi”, un film garbato, vivace, esilarante, spensierato e… impegnato

Alla mostra di Venezia dello scorso anno il film Un divano a Tunisi è stato molto apprezzato e ha vinto il premio del pubblico. La regista Manele Labidi, è alla sua opera prima, e il suo esordio è davvero folgorante. Si è ispirata molto alla nostra commedia all’italiana, anche se la leggerezza che pervade il film, tratta di un popolo, la Tunisia, che ha desiderio di esprimersi – finalmente – dopo i fatti della Primavera Araba, e dopo venticinque anni di governo dittatoriale del presidente Ben Alì. E’ un film che racconta, con gli occhi di una psicoanalista e dei suoi improbabili pazienti, un cambiamento nei costumi, ma anche nella morale e nella politica. Non a caso due canzoni che punteggiano la colonna musicale del film: Città Vuota del 1963 e Io sono quel che sono del 1964, entrambe cantate da Mina, rappresentano l’Italia al tempo del boom economico, quindi al tempo della rinascita. Il personaggio della psicoanalista Selma, interpretato da una bravissima Galshifteh Farahani attrice iraniana, ospita sul suo lettino una serie di personaggi che hanno voglia di esprimersi e che lo fanno in una sorta di esagerazione comica: l’Imam che ha perso la fede, la moglie esuberante, il paranoico sognatore, la ragazza ribelle, il poliziotto reazionario, tutti vogliono un posto da Selma, un lettino che alterna momenti esilaranti ma anche malinconie e sofferenze. Il film offre lo spunto per dare uno sguardo sulla società tunisina del dopo regime, attraverso i pazienti, una galleria di umanità stra
ordinariamente diversa varia che consente a Manele Ladibi di mettere in scena dialoghi esilaranti. Alla base del film c’è il fatto che i tunisini devono affrontare ben altri problemi che curare il loro male di vivere. Infatti la psicoanalisi nel film viene vista come una pratica occidentale, un capriccio per perditempo, e nella fattispecie della nostra Selma, una pratica maledettamente inconsueta perchè a svolgerla è una francese che si è trasferita a Tunisi, senza conoscere realmente usi e costumi della Tunisia. Selma a Parigi non ci vuole tornare, nonostante che tutti la consigliano di farlo, compresa la polizia, che visita spesso il suo studio, anche se si scopre che lo fa per un motivo diverso da quello che parrebbe all’inizio. La commedia è garbata ma allo stesso tempo vivace, che si fa vedere con spensieratezza, anche se alla fine te ne vai dalla sala cinematografica pensando.