ARTENA, ELLA FU. SICCOME IMMOBILE!

Mi si chiede come un giovane di 30 anni veda la situazione politica-amministrativa locale. Potrei finirlo qui. Non scrivere nulla. Non aggiungerebbe né toglierebbe alcunchè al senso di smarrimento e vacuità che provo

L’esilio di Napoleone Bonaparte a Sant’Elena, oppresso dalla solitudine e da qualsiasi altra condizione dell’animo umano che non sia di monotonia metaforicamente si riflette nello stato di ogni giovane artenese e non solo

Un messaggio presago, profetico: “Gabriele, riusciresti a consegnarmi l’articolo per il 5 Maggio?”
Mi si chiede come un giovane di 30 anni veda la situazione politica-amministrativa locale.
Potrei finirlo qui. Non scrivere nulla. Non aggiungerebbe né toglierebbe alcunchè al senso di smarrimento e vacuità che provo. Come la tavoletta usata dai Romani per la scrittura quando ne era stato raso ogni segno perché ci si potesse riscrivere: tabula rasa.
Ma il 5 Maggio non sarà mai un giorno come gli altri e non è un caso che l’ansietà di un naufrago, esiliato a Sant’Elena, oppresso dalla solitudine e da qualsiasi altra condizione dell’animo umano che non sia di monotonia si rifletta nello stato di ogni giovane artenese e non solo.
La verità però è tutt’altro che poetica. Credo che i giovani di Artena, oggi, si ritrovino (metaforicamente parlando) nella stessa situazione del piccolo caporale francese: tante battaglie vinte, ma che non permetteranno di cambiare poi molto. E la convinzione che una sconfitta, è la fine. Ecco perché i giovani sentono e percepiscono la vita politica amministrativa con distacco e in lontananza, perché semplicemente si è logorati. Stufi. Ci si sente accerchiati da quelli che per Napoleone erano i russi, gli inglesi i prussiani e gli austriaci. Napoleone vince una miriade di battaglie, ma alla fine gli altri arrivano a Parigi.
E allora come giovani non riusciamo neanche a percepire cosa stia accadendo: da una parte i russi, che organizzano la potenza per combattere Napoleone, si armano, ma se la devono fare a piedi da Mosca. Per i francesi, invece, tutto va bene.
Praticamente a questo punto dovremmo pensare a cosa succederebbe, considerando che da fuori (ipotizziamo l’Inghilterra) non arrivano risorse (non solo economiche) per finanziare una rivalutazione o una ripresa territoriale. Intanto i russi tornano, e vengono sbaragliati in Germania. Praticamente non passa nulla. Ecco la viviamo così, come un grande Risiko. E intanto si rimane fermi……Artena, ella fu. Siccome immobile!
I giovani artenesi ne trovano tante di somiglianze con il 5 Maggio.
Si percepisce una situazione di complessità, senza che emerga chiarezza, composta da un’ampia varietà di attori che neanche loro sanno cosa devono o vogliono fare. Si percepisce ambivalenza e non lo spirito di identità sovra individuale che avvicini e renda partecipe la comunità.
Ogni giovane si rifiuta oggi di partecipare alla vita politica e amministrativa perché sa che questa esclude, divide e crea inimicizia con chi non fa parte della stessa comunità.
Ecco perché i giovani artenesi avrebbero voglia di sentirsi un po’ come se Napoleone non si fosse lasciato andare, come se ancora potesse immaginarsi un futuro alternativo, come se non ci si dovesse preparare ad un’altra ed ennesima battaglia fiaccati dal tempo e dal fato.
Non c’è armonia. Quella che i giovani vogliono. Dovrebbe esserci cooperazione, ricerca del consenso, integrazione, per evitare appunto i conflitti che oggi ci fanno rimanere fermi.
Credo che per descrivere la situazione che viviamo si possano citare le parole di un altro personaggio figlio di quel tempo che corrisponde a Cavour: ”mentre tutta l’Europa si incammina con passo deciso verso la via del progresso, la misera Italia è sempre prostrata dallo stesso sistema di oppressione civile e auspico una rigenerazione per mano di una ardente gioventù anche se ad oggi è impossibile”.
Però senza quegli episodi non avremmo assistito a capolavori come Frankenstein di Mary Shelley, perché poi nel 1816, con la pace, gli inglesi tornarono a viaggiare in Europa, e in quell’anno “senza estate” (dove a causa dello scoppio di un vulcano in Indonesia, ci furono delle grandi nevicate ad Agosto) nessuno potette uscire di casa compresa Mary Shelley che, nella propria dimora in Svizzera, scrisse appunto Frankenstein.
Ecco, c’è una crepa in ogni cosa. E’ da lì che entra la luce.

GABRIELE NOTARFONSO