HANNO BOMBARDATO A SANTA MARIA

Settantanove anni fa, il 31 gennaio, dal cielo arrivò la morte per tutti quelli che si erano riparati dentro la chiesa. Una ricorrenza che agli artenesi sta molto a cuore e che rappresenta la più grande tragedia accaduta nella Città negli ultimi due secoli. L’Amministrazione Pubblica la ricorda ogni anno, anche se in questi ultimi anni le presenze si sono di molto affievolite

Come ogni anno anche in questo 2023 ricordiamo il giorno più drammatico di morte e di distruzione della nostra città.
Sono trascorsi settantanove anni da quel lontano 31 gennaio 1944, e i ricordi e la memoria vanno sempre più scemando. I sopravvissuti di quell’evento non ci sono quai più, e questo giorno sta divendando un appuntamento quasi obbligato per quelle povere vittime, anche se – spero che non sia così – la realtà ci dice che ogni anno partecipano sempre meno persone, la memoria di questi eventi va conservata e tramandata altrimenti faremmo un doppio torto a chi in quel giorno ha perso la vita.
Lunedi 31 gennaio 1944 raccontano le cronache era una giornata assolata quasi un anticipo di primavera, la gente quel giorno, approfittando del bel sole, uscì dai ricoveri e andò nel pomeriggio presso Santa Maria e nelle sue vicinanze.
Nessuno poteva immaginare che da lì a qualche minuto si potesse scatenare l’inferno,, anche perché Artena fino ad allora era stata risparmiata da cruente battaglie .
Verso le 15,30 improvvisamente si sentì il suono delle sirene di Colleferro e un rumore assordante di aerei, sono ventiquattro bombardieri canadesi che provengono da oriente, che si dividono in due formazioni, una va verso Palestrina e un’altra punta verso Artena.
In un attimo ci fu il panico le persone presenti su a santa Maria incominciarono a correre da ogni parte. Il collegio serafico francescano con i superiori erano in quel punto poiché i tedeschi avevano requisito il convento che era stato adibito ad ospedale militare.
In un attimo il Padre Maestro richiama con il fischietto i fratini e tutti si portano dentro la chiesa. Incominciarono la recita dell’Ave Maria: ne recitano soltanto due, alla terza la chiesa viene bombardata e rasa al suolo, seppellendo tutti quelli che vi avevano trovato rifugio.
Immaginiamo subito dopo il bombardamento le urla, i gemiti, le richieste di aiuto, spettacolo desolante e raccapricciante per chi è andato subito sul luogo del disastro.
La Chiesa era completamente distrutta. Macerie fumanti e corpi sparsi. Il bilancio delle vittime fu di tre sacerdoti nove fratini e alcuni civili orribilmente cadaveri, e numerosi feriti.
Il Padre Corrado Vitelli fratello gemello di Don Amedeo, che per caso si trovava ad Artena in quei giorni, nel tentativo di salvare alcuni fratini con il suo corpo, fu colpito alla schiena da una grossa trave e morirà poco dopo nell’ospedale militare del Convento.
I morti furono portati al comune e i feriti furono trasportati all’ospedale di Anagni di Velletri e di Latina, poiché quello di Colleferro ancora non era stato costruito.
Il Padre Rettore del collegio serafico, Fra Igino Franciosi, si trovava in quel momento in convento, appena sentito il rumore degli aerei e visto il fumo vicino alla Chiesa si precipito subito a Santa Maria. Appena arrivato lanciò un urlo lacinante, si inginochiò e disse: “Figli, figli miei che dirò ora alle vostre mamme” ,poiché lui era il custode di questi ragazzi. Ebbe un malore.
L’arciprete Mons. Angelo Gentilezza, che fu parroco di Santa Maria per 43 anni, era intento a recitare l’ufficio divino nella chiesa di Santa Croce, sentito quel grande fragore e subito ripresosi, volle portarsi a Santa Maria, ma arrivato a For de porta si fermò e non ebbe più la forza di proseguire, vedendo i morti e i feriti che venivano trasportati al Municipio.
Tornato nella propria abitazione fu colto da malore, e dopo qualche giorno fù portato a Roma nella casa di suo cugino, il magistrato Ugo Aloisi. Dopo qualche mese, affranto dal forte dolore della distruzione della sua amata Chiesa, come soleva dire, rese la sua anima a Dio.
Fra Federico Scascitelli dal Convento si avviava su al paese verso la casa del fratino Riccitelli, portando un sacco di patate. Arrivato davanti la Chiesa di Santa Croce sentì le urla delle persone che scendevano da Santa Maria, buttò il sacco e corse su al Santuario, ma non ce la fece ad arrivare. Tornò indietro ad aiutare i fratini feriti che stavano al Municipio.
Le suore della carità non erano in paese in quel giorno perchè erano sfollate a Roccamassima, dato che l’edificio era stato requisito dai tedeschi.
Tornarono ben presto per aiutare i feriti.
Dopo qualche giorno il Padre Umberto Bartoli e Don Amedeo prelevarono la statua scheggiata della Madonna delle Grazie e la portarono nella chiesa di santa Croce.

ALBERTO TALONE