PAVIMENTAZIONE CENTRO STORICO. IL PARERE DI STEFANO SERAFINI DELLA SOCIETA’ BIOURBANISMO

IL PRESIDENTE SERAFINI ABITA AL CENTRO STORICO DI ARTENA ED E’ AUTORE DI IMPORTANTI PROGETTI NEL BORGO ANTICO DI ARTENA. SENTIAMO COSA PENSA DEI LAVORI DI RIFACIMENTO DI VIA CAVOUR

I pregi e i difetti del recente intervento di ripavimentazione di fronte alla storica chiesa di S. Stefano sono facili a elencarsi. Da un lato la deambulazione e, a parere di alcuni, anche l’aspetto sono migliorati rispetto alle buche e al cemento precedenti. Una buona cosa. Dall’altro, la memoria storica della via che conduce a uno dei monumenti più importanti della città, all’interno di quel monumento che è tutto il centro storico, ha subito un’ulteriore discutibile trasformazione. L’intervento è infatti stato eseguito con materiali impropri: pietra calcarea rosacea e cigli di travertino al posto dei bianchi selci nostrani, una sorta di parziale plastica facciale con i tessuti sbagliati. Insomma, purtroppo, un errore ripetuto dall’amministrazione comunale sul medesimo luogo dove oltre mezzo secolo fa il sindaco Conti rovinò col cemento quel pezzo di strada. Se il risultato sembra migliore del precedente v’è però un’aggravante: lo spregio della normativa che il Comune stesso e la Regione Lazio approvarono qualche anno fa su come manutenere Artena, incluse le sue pavimentazioni (Piano di Recupero, art. 31 che sancisce tecniche e uso della sola pietra locale). Si aggiunga la parzialità dell’intervento che non ha considerato il miglioramento dei sottoservizi (una strada è fatta di una parte superiore, visibile, e di una parte inferiore, invisibile ma non meno importante), quali fogne, cavi, tubi, e soprattutto il ripristino della compromessa permeabilità alle acque piovane. Infine (visti i precedenti di For di Porta, dove già si distaccano i falsi sampietrini a soli due anni di distanza da un simile intervento) temo che questo lavoro non assurgerà mai non dico alla dignità dell’antico selciato ma neppure alla decenza della vecchiaia. In sostanza, un’opera che emerge per buona intenzione nell’inerzia generale del governo della città (giacché il nostro bel borgo sta crollando nell’indifferenza o impotenza di chi ci amministra) ma arbitrario, cieco come un gattino al passato e al futuro di Artena perché mosso dalla fretta di mostrare un miglioramento nel presente.
Con questo non voglio additare alcun capro espiatorio, che non esiste, proprio come non esiste un’altra Artena (una sorta di ideale, o nemesi giudicatrice, questa, che sempre crede migliore l’alternativa a ciò che siamo, o meglio, al nostro prossimo). Abbiamo soltanto questa Artena della quale ognuno di noi fa parte nel bene, nel male e nel senso di responsabilità. I nostri problemi (dallo spaccio di droga alla confusione amministrativa) dovremmo sempre considerarli da una prospettiva civica perché dal comune sentire, operare, comunicare in qualche modo sorgono e su tutti ricadono: se il sindaco Conti appiattì di cemento tante vie del centro storico non fu solo per sua decisione, probabilmente applaudita da più di qualche amante del progresso, ma per la mancanza di un linguaggio comune dove i selci (e come i selci tante altre cose) fossero parola comprensibile.
Vorrei perciò proporre l’inizio di un discorso su questi selci di Artena. Da secoli sorreggono umilmente passi, muli, cuori più o meno pesanti, processioni della Madonna, guerre e paci, invernate e primavere, e ultimamente troppe deiezioni animali e qualche slogamento. Quei sassi bianchi, consumati e fatti verbo dalla nostra storia, se ne stanno posati sulla terra e accostati l’un all’altro come fedeli in chiesa, come lavoratori in marcia, come tombe e come bambini appena nati, che di notte, sotto la pioggia, tacciono ridarelli a trasformare i riflessi dei fanali in stelle. Guardarli è un piacere, vederli andare via un dolore, sia che cedano sotto il peso dell’incuria o che vengano sepolti da cemento e blocchetti estranei, come è accaduto su Via Maggiore – la strada alla quale, mi diceva un amico, “hanno strappato l’anima”. E sì che quell’anima era povera, rattoppata, magari faceva storcere il naso ai turisti; ma sempre anima era, e la si vedeva anche tra le crepe e i danni e forse, anzi, proprio per quello.
A differenza del lastricato d’importazione, i selci originali non hanno bisogno del cemento, che anzi danneggia la loro resistenza elastico-meccanica e la permeabilità della strada. Come insegna chi ancora sa costruirli e posarli, piantati in sabbia e pozzolana si sostengono a vicenda producendo un corpo compatto la cui organica forza scorre per l’intero sistema viario. Però quando li si abbandona, come purtroppo è accaduto per troppo tempo nella disattenzione nostra, prima o poi qualcuno può staccarsi e rotolare via: e allora, se non s’interviene subito a mestiere, altri selci si staccano, la strada si affossa, la folla dei sassi fedeli si piega e si separa. Ed ecco allora arrivare il cemento, la soluzione pigra quando le pietre non sono più compatte e non si parlano più: lega ciò che già si è disunito e così tale disunione ratifica.
Artena è un gioiello povero. Inestimabile. Non ce ne sono di uguali al mondo. Io quando guardo i suoi sassi rivedo le teste dei suoi figli che tutti insieme entrano a Santa Croce, al tramonto, dietro alla Madonna delle Grazie. Tutti diversi e tutti uniti. Non posso immaginare la Madonna procedere su un acciottolato simile a quello di un centro commerciale o di una villa americana dove ogni sasso è uguale all’altro e dall’altro separato, indifferente, legato al suo posto per mera costrizione.

STEFANO SERAFINI