L’EROE SENZA PAROLA DELLA GRANDE GUERRA FESTEGGIATO L’8 MAGGIO

Sostegno, per secoli, nell’ attività dell’uomo, oggi viene utilizzato nell’agricoltura sociale. Ad Artena è grazie al Mulo che si svolge ogni azione tra i vicoli e le viuzze del centro storico

Siamo nella I^ guerra mondiale, conflitto di alta quota, freddo che spacca la pelle, zone inaccessibili, la disfatta di Caporetto, la vittoria del generale Diaz. Seconda guerra mondiale, fronte greco albanese e russo, operazione Barbarossa lanciata dalla Germania nazista contro l’Unione Sovietica nel 1941, le sentinelle morte in piedi congelate “nei silenzi smarriti della terra russa”. Accanto ai soldati, agli alpini, c’è lui, orecchie dritte, sguardo umido, ha un pesante equipaggiamento, è coperto di ghiaccio. È un mulo, si chiama Cavolo Fiorito. Accanto, un uomo che si ripara dal freddo sotto la sua pancia, lo accarezza, il muso morbido del mulo lo lecca, si consolano, pare piangano insieme. Intorno solo cristalli di neve. “Durante il ripiegamento avevamo centinaia di slitte trainate da muli, che soffrivano con noi e non avevano da mangiare che qualche sterpaglia che spuntava dalla neve. Povere bestie, erano coperte di ghiaccio. (G. Bedeschi) “Centomila gavette di ghiaccio”. E poi c’è Scodella, la mula più resistente nella Grande Guerra decorata con la croce di guerra al Valore militare, a Villa Borghese un monumento di Pietro Canonica la ricorda, e Zibibbo nella campagna russa rientrò sfinito e solo con parte di un cannone e Fusco, un mulo alto, di proporzioni armoniose, con il manto scuro e un elegante incedere, unico mulo superstite delle campagne di Grecia e Russia del suo battaglione. Tanti ne sono morti, di muli, impaludati e carichi come erano. Ogni divisione ne aveva circa 3500, ognuno con un proprio nome. E Facco seguì la rotta da solo, arrivò a destinazione senza più il suo compagno, l’uomo, l’amico, come se fosse umano, come se capisse la topografia, orientato dal mistero di una bussola istintiva. Questo museo della sofferenza espressa anche da chi non è uomo. Nel 1915 “G. Bevione”, giornalista, politico, ufficiale negli alpini e medaglia di bronzo al valore militare, scriveva, per onorare il binomio mulo-alpino “a guerra finita, si dovrebbe erigere al mulo un monumento di riconoscenza nazionale. Senza il mulo l’Italia non avrebbe potuto combattere”. Eroe senza parola oltre l’essere animale, “cugino” dell’asino, festeggiato, non a caso, l’8 maggio, a ridosso della festa dei lavoratori. Sostegno, per secoli, nell’ attività dell’uomo, oggi viene utilizzato nell’agricoltura sociale, nel trekking, nelle attività ricreative e terapeutiche. Ad Artena (RM) che è un’isola pedonale naturale, i trasporti avvengono esclusivamente grazie ai muli, unici animali che si trovano a loro agio tra le viuzze a saliscendi. Robusto, resistente, mite, ingiustamente associato all’idea di stupidità. L’asino invece appare negli antichi testi e in numerosi episodi religiosi. Nel Vecchio Testamento l’asina di Balaam, vide l’angelo prima del suo padrone. In groppa ad un asinello la Vergine e il Bambino fuggono dall’Egitto e Gesù, ormai adulto, entra a Gerusalemme a dorso di un asino. E poi c’è ancora lui, nella scena cardine del Cristianesimo, la Natività, nell’iconica visione di una grotta, accanto al bue, fra la paglia e una stella cometa, accanto al Bambino appena nato. Questo animale mite e sovrastato dal suo destino. Nel Trittico di Beffi, esposto a L’Aquila, nel Museo Nazionale d’Abruzzo, è protagonista e ambasciatore dell’arte pittorica regionale. Viaggia instancabile in un percorso di testimonianza che andrà ben oltre noi.