GLI ARTENESI DOVRANNO ESSERE SEMPRE FIERI DELLA LORO CITTA’

Se questo borgo fosse un paese in Toscana, lo dico sinceramente, lo avrebbero già tramutato in oro. Ho voluto, comunque, raccontare la bellezza di Artena in un libro. Lo dice l’editor e organizzatrice di eventi la fiorentina Rossana Cecchi

La prima volta che sono stata ad Artena, è stato su un magnifico cavallo nero. Mi piace ricordare così quel giorno. Per me è stato un amore a prima vista. D’altra parte per chi arriva da Valmontone, il paese si impone nel paesaggio con una forza e un’immagine unica e particolare. Quasi un paese delle fiabe.
Per una fiorentina abituata alla bellezza dei luoghi e dell’architettura, alla cura talvolta eccessiva dei particolari, attraversare l’Arco Borghese e trovarsi a passeggiare tra vicoli erti, sconnessi e palazzi decadenti, è stato facile innamorarsi, ma contemporaneamente pensare:- Qui sarebbe tutto da ristrutturare. Se fosse un paese in Toscana, lo dico sinceramente, lo avrebbero già tramutato in oro.
Ed è stato forse per questo pensiero che appena mi si è presentata l’occasione, anche reagendo a quell’atto efferato che nel settembre del 2020 aveva sbattuto Artena sui giornali per tutt’altro motivo, ho voluto raccontare questa bellezza in un libro.
L’opportunità si è concretizzata con Palazzo Galileo. Nel sapere la storia e nel vedere la bella ristrutturazione di questo edificio, che per cinquant’anni era stato scheletro inerte sulla piazza nuova del paese, ho pensato infatti, come d’altra parte penso sempre, che c’è sempre speranza, speranza di cambiare, trasformare le cose, ed era necessario dirlo.
Sembra sempre impossibile – diceva Mandela- finché non viene fatto.
La storia di Artena è noto che abbia conosciuto momenti di fulgore e momenti di assoluta distruzione, che sembrano essere rimasti profondamente nella cultura dei suoi cittadini.
Ci riferiamo in particolare a quanto accade nel XVI secolo, ovvero alle guerre tra gli Asburgo, le forze imperiali e lo stato pontificio e ai fatti del 1557 che portarono Paolo IV ad abbattersi contro la città con una spietatezza inaudita. Fu deciso che Montefortino con l’aiuto dei centri limitrofi fosse rasa al suolo: da qui il successivo isolamento del paese.
Tuttavia non passerà mezzo secolo che i segni della ripresa, in grande, si faranno vedere. Agli inizi del ‘600 grazie a Scipione Borghese, la città verrà ricostruita più bella e sicuramente più monumentale di prima e inizierà un vero e proprio periodo di rinascita. Ma alcuni pensieri sono difficili da combattere, soprattutto in una società bigotta, dominata dallo stato pontificio. Nel ‘700 alcuni fatti di sangue, fecero di nuovo emergere la fama che gli artenesi fossero briganti. Purtroppo più i crimini si susseguivano, più le autorità sembravano incapaci di gestire la situazione, non si faceva nulla per dare un segnale positivo alla popolazione. Il XVIII e il XIX furono secoli difficili, a Montefortino la piaga del banditismo continuò a dilagare. Fu per questo stato delle cose che nel 1873 si tentò di cambiare quello che sembrava un destino, dando un nuovo nome alla città. Ma la fama era dura a morire: nel 1890 il criminologo Scipio Sighiele con il suo libro Artena paese di delinquenti nati, sostenendo false teorie di delinquenza ereditaria, rendeva vano ogni tentativo di cambiamento. Nella seconda metà del ‘900 la città si è ampliata, industrializzata ed emancipata. Tuttavia appena è accaduto un fatto efferato – quello doloroso del 2020 -, la fama sembra essere riemersa. Per questo ai giovani è necessario far sapere che il futuro è loro e non vi sono situazioni immodificabili. Abbiamo preso d’esempio Palazzo Galileo, che per volontà di un imprenditore, un architetto e le maestranze del territorio, ora è un’altra cosa e illumina, con il suo colore bianco travertino, la piazza e il paese nuovo. Ma c’è ancora molto da realizzare.
Ogni volta che vengo ad Artena, c’è una visita a cui tengo particolarmente. Dopo aver fatto a piedi, via Garibaldi, passati la grande curva e l’Arco Borghese, mi piace raggiungere il Belvedere, e prima di inerpicarmi per scale e stradine fino alla cima, lì fermarmi: con dietro l’affascinante Palazzo baronale e il Palazzo del Governatore di fronte. Mi auguro, da buona fiorentina, di vederli un giorno rifiorire, e mi perdo a guardare la valle. Seduta tra quei merli così originali e le sculture del vento (il faccione che sta sulla copertina del libro che ho editato è una di queste), con il borgo alle spalle, felice di un momento di pausa, non mi mancano nemmeno le mie colline. Mi sembra di stare sull’ermo colle. Palazzo Galileo visto dall’alto con il suo bel bianco spicca nettamente. Ogni luogo come questo non può che generare riflessione, separazione dal passato, e speranza nel futuro: Così tra questa immensità s’annega il pensiero mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Parole note, universali, che risuonano nel cuore e nella mente.
Gli artenesi di questa vista, della loro storia e del loro colle, e di quanto tutto ciò può suscitare, devono essere molto fieri.

ROSSANA CECCHI