LE MANI PULITE DI TRENT’ANNI FA

A TRE DECENNI DI DISTANZA RICORDIAMO COME INIZIO’ LA FINE DELLA PRIMA REPUBBLICA. L’ARRESTO DI CHIESA E LA CANCELLAZIONE DI DUE STORICI PARTITI ITALIANI, LA DEMOCRAZIA CRISTIANA E IL PARTITO SOCIALISTA

Mani pulite (comunemente nota anche come Tangentopoli) è il nome giornalistico dato a una serie d’inchieste giudiziarie, condotte in Italia nella prima metà degli anni novanta da parte di varie procure giudiziarie, che rivelarono un sistema fraudolento ovvero corrotto che coinvolgeva in maniera collusa la politica e l’imprenditoria italiana. La locuzione «Mani pulite» applicata alla politica venne coniata nel 1975 da Giorgio Amendola, deputato del PCI, durante un’intervista pubblicata da Il Mondo in cui affermava: «Ci hanno detto che le nostre mani sono pulite perché non l’abbiamo mai messe in pasta». L’espressione venne ripresa due anni dopo dallo scrittore Claudio Castellacci e nel 1980 dal Capo dello Stato Sandro Pertini. L’inchiesta «Mani pulite» fa riferimento al fascicolo aperto alla Procura di Milano nel 1991 da Antonio Di Pietro, mentre in un’accezione allargata fa riferimento alle indagini condotte anche da altre procure italiane negli anni novanta, che vertevano appunto sulla collusione fra politica e imprenditoria: si parlò infatti anche di «Mani pulite napoletana» per le indagini contro Francesco De Lorenzo, Antonio Gava e Paolo Cirino Pomicino e di «Mani pulite romana» per le indagini su Giorgio Moschetti.
L’impatto mediatico e lo sdegno dell’opinione pubblica che ne seguirono furono tali da decretare il crollo della cosiddetta Prima Repubblica e l’inizio della Seconda Repubblica in quanto partiti storici della Repubblica Italiana come la DC e il PSI si sciolsero venendo sostituiti in Parlamento, nelle successive elezioni, da partiti di nuova formazione o che prima erano sempre stati minoritari e comunque all’opposizione; anche senza un formale cambiamento di regime, si ebbe un profondo mutamento del sistema partitico e un ricambio di parte dei suoi esponenti nazionali.
L’arresto di Mario Chiesa e le prime inchieste
Le vicende iniziarono lunedì 17 febbraio 1992 quando il pubblico ministero Antonio Di Pietro chiese e ottenne dal GIP Italo Ghitti un ordine di cattura per l’ingegner Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e membro di primo piano del PSI milanese. Chiesa era stato colto in flagranza di reato mentre intascava una tangente dall’imprenditore monzese Luca Magni che, stanco di pagare, lo aveva denunciato all’Arma dei Carabinieri. Magni, d’accordo coi carabinieri e con Di Pietro, fece ingresso alle 17:30 nell’ufficio di Mario Chiesa, portando con sé 7 milioni di lire, corrispondenti alla metà di una tangente richiesta a lui da quest’ultimo; l’appalto ottenuto dall’azienda di Magni era infatti di 140 milioni e Chiesa aveva preteso per sé il 10%, quindi una tangente da 14 milioni. Magni aveva un microfono e una telecamera nascosti e, appena Chiesa ripose i soldi in un cassetto della scrivania, dicendosi disponibile a rateizzare la transazione, nella stanza irruppero i militari, che notificarono l’arresto. Chiesa, a quel punto, afferrò il frutto di un’altra tangente, stavolta di 37 milioni, e si rifugiò nel bagno attiguo, dove tentò invano di liberarsi del maltolto buttando le banconote nel water. La notizia fece scalpore, finendo sulle prime pagine dei quotidiani e venendo ripresa dai telegiornali. Il segretario socialista Bettino Craxi, allora impegnato nella campagna elettorale per le elezioni politiche nazionali che si sarebbero svolte in primavera, in un’intervista rilasciata a Daniela Vergara per il TG3, negò l’esistenza della corruzione a livello nazionale, definendo Mario Chiesa un «mariuolo isolato», una scheggia impazzita dell’altrimenti integro PSI, affermando:
«In questa vicenda, purtroppo, una delle vittime sono proprio io. Mi preoccupo di creare le condizioni perché il Paese abbia un Governo che affronti gli anni difficili che abbiamo davanti e mi trovo un mariuolo che getta un’ombra su tutta l’immagine di un partito che a Milano in cinquant’anni, nell’amministrazione del Comune di Milano, nell’amministrazione degli enti cittadini – non in cinque anni, in cinquanta – non ha mai avuto un amministratore condannato per reati gravi commessi contro la pubblica amministrazione. »
L’allargamento delle indagini e le elezioni del 1992
Gherardo Colombo, uno dei magistrati del pool, indagò anche sulla loggia P2 e sui fondi neri dell’IRI. Rinchiuso nel carcere di San Vittore, Chiesa in un primo momento non confessò. Il PM Di Pietro, che nelle indagini sull’ingegnere aveva scoperto e messo sotto sequestro due conti svizzeri, Levissima e Fiuggi, chiamò al telefono il suo avvocato, Nerio Diodà, e gli disse:
«Avvocato, riferisca al suo cliente che l’acqua minerale è finita. »
Così, sotto interrogatorio, Chiesa rivelò che il sistema delle tangenti era molto più esteso rispetto a quanto affermato da Craxi. Secondo le sue dichiarazioni, la tangente era diventata una sorta di «tassa», richiesta nella stragrande maggioranza degli appalti. A beneficiare del sistema erano stati politici e partiti di ogni colore, specialmente quelli al governo come la DC e il PSI. Chiesa fece anche i nomi delle persone coinvolte. Vista la delicata situazione politica, in piena campagna elettorale, Di Pietro mantenne sulle indagini il più assoluto riserbo, mentre alcune formazioni politiche come la Lega Nord iniziarono a cogliere la sempre crescente indignazione popolare per raccogliere voti con lo slogan «Roma ladrona!»… e la storia continua…