L’ANGOLO DEL MAESTRO. BISOGNA IMPARARE A RIDERE

Il tema del riso ha suscitato l’interesse dei filosofi fin dall’antichità ed è proseguito fino ai giorni nostri quando “una risata vi seppellirà!”

Il tema del riso ha suscitato l’interesse dei filosofi e non solo fin dall’antichità, per Democrito (460 – 370 a.C.), il riso ha una valenza molto profonda: è un’arma filosofica potente.
L’esistenza umana ci appare priva di senso, è buffa, imprevedibile; bisogna dunque imparare a ridere. Scriveva il filosofo: “Nessuno di noi conosce alcunché, non sappiamo neanche se sappiamo o se non sappiamo”. Tale posizione rivela un intento critico verso ciò che si impone come conoscenza certa, stabile, universale. Quello di Democrito è un monito contro la tracotanza e la presunzione. Aristotele (384 – 322 a.C.), nella sua Poetica, ammette il riso, ma solo se opportunamente dosato, poiché se viene esercitato con eccessiva frequenza e reiterata abitudine risulta degradante per l’uomo.
Se il mondo greco si mostra benevolo verso il riso e i suoi effetti, il pensiero cristiano arriva nei secoli a condannare senza appello ogni sua sfumatura. Il riso viene interpretato da molti autori della scolastica (tra il X e il XIII sec. d. C.) come leggerezza inaccettabile; e dunque viene bandito dai monasteri, perché giudicato espressione di chi è privo di contegno. Si assiste, addirittura, a una sua demonizzazione: il riso distoglie dalla preghiera e dalla meditazione, e quindi allontana da Dio. Da qui la sottolineatura che i vangeli non dicono che Gesù abbia riso; quindi, non rideva. E, allora, un bravo cristiano non deve mai ridere. Perché il riso, come dice il venerabile Jorge ne Il nome della rosa “uccide la paura e senza la paura non ci può essere la fede”.

Anche il proverbio latino tramanda di generazione in generazione questa diffidenza: “risus abundat in ore stultorum”. Nel Rinascimento il riso ha il suo momento di gloria. Lo scrittore Rabelais (1494 – 1553) ne sottolinea la funzione rivoluzionaria e dissacrante. Per lui il riso vince la paura esorcizzandola, scioglie ogni tensione, rassicura e conforta gli animi. Erasmo da Rotterdam (1466 – 1536) nell’Elogio della Follia, parla del “saggio folle” che guida gli uomini e li illumina sugli aspetti più risibili dell’esistenza. Nella Modernità Pascal (1623 – 1662) afferma che il riso smaschera il fatuo e l’inutile. Secondo Kant (1724 – 1804) il riso ha una funzione terapeutica: produce armonia tra mente e corpo.
Forse da qui viene il detto: “Il riso fa buon sangue”. Ma tornando al cristianesimo è proprio vero che Gesù non rideva? Se è vero che nei Vangeli non si racconta di episodi in cui Gesù scoppia a ridere, è anche vero che si dice con chiarezza e più volte che partecipava a nozze e banchetti. E sicuramente in quelle circostanze non se ne sarà stato serio in disparte a pregare. Anzi, si intuisce dai racconti che gli piaceva divertirsi nelle feste. Quindi sicuramente avrà ballato, cantato… e anche riso.
Gesù era ebreo e intriso dello spirito biblico. E nella Bibbia il riso e l’ironia sono molto presenti, sono addirittura una delle caratteristiche di Dio.

Abramo chiama il suo primogenito Isacco, che significa “Dio ride”; Mosè e Aronne benedicono il popolo augurando loro: “Dio rida verso di voi e vi sia propizio”; e i Salmi, in diversi passi, dicono che Dio si affaccia dalle nubi del cielo per guardare la terra, e ride. Così quando l’Angelo Gabriele va da Maria, la saluta dicendole: “Ridi. il Signore è con te” (Luca 1:28). Allo stesso modo, apparendo nella notte ai pastori, l’angelo dice loro: “Non temete. Ridete: oggi è nato il salvatore” (Luca 2:10). E non è un caso che Gesù ci ha lasciato in eredità non una qualche pratica ascetica, ma del pane e del vino da condividere. (Filippesi 4:4ss).
“… e una risata vi seppellirà!” è una frase a cui è difficile attribuire una paternità certa. Nasce come motto anarchico nell’Ottocento, alcuni ritengono che a pronunciarla sia stato addirittura Michail Bakunin.
In Italia apparve per la prima volta sui muri della facoltà di Lettere dell’Università di Roma e divenne il motto del movimento del 1977, veniva scritta o urlata durante le proteste studentesche, prima che si arrivasse alla comparsa della P38 ed ai famigerati anni di piombo.
Il ritornello era il seguente: “la fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà!”. Una frase che faceva paura. Oggi quella frase continua a mantenere una carica dirompente contro un certo sistema politico precostituito.

Una risata stridula, sguaiata, perfino fastidiosa, che non è una manifestazione di allegria, rappresenta un grido di dolore, la voce che esprime disagio sociale. Il sorriso è una anomalia del respiro, un po’ come il pianto, tant’è che spesso situazioni comiche ci fanno piangere e situazioni drammatiche e dolorose ci fanno ridere.
Facciamo attenzione, basta un gesto irrazionale, spiegato razionalmente, a trasformare un assassino in un eroe; un comico in un rivoluzionario, una massa anonima in una folla scatenata e violenta.
Attenti allora, perché una risata potrebbe seppellirvi, attenti alle “risate” anche a quelle apparentemente sconnesse e prive di senso, a quelle “sgrammaticate”.
È risaputo: la storia segue logiche che rimangono sconosciute, nonostante tutti gli sforzi teorici per renderla “razionale” e prevedibile.